Il veleno nel riso di Giovanni De Lena

E’ da poco passato il Natale del 1884. Ci troviamo alle spalle del Palazzo Marchesale, in via Sant’Antonio 38, dove Giovanni De Lena, avvocato e amministratore del Marchese Caracciolo viveva con sua moglie, la gentildonna Sofia Catena, e con sua sorella Anna De Lena.

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Bari, Giovedì 6 maggio 1886.
COMUNICATI
CRONACA GIUDIZIARIA

Innanzi questa Corte d’Assise si è dibattuta una causa molto grave per tentato venefizio avvenuto in Santeramo in pregiudizio del cav. Giovanni De Lena.
Il fatto, giusta le risultanze processuali e la sentenza della sezione d’accusa, si compendia così.

Nel 27 dicembre 1884 mentre la sig. Anna De Lena sorella del cav. Giovanni si accingeva a versare nel brodo del riso che precedentemente era stato lavato con acqua calda e poscia rimasto in acqua fredda, volendo dare un ultima stropicciata a quel riso, s’accorse che dal mezzo di esso usciva una tinta rossastra; dopo diverse indagini si sospettò di trattarsi di teste di fiammiferi messe nel riso; e si ebbe dal primo momento grave sospetto che autrice fosse stata la domestica Teresa Navarra, come colei che era rimasta sola in cucina e che si era mostrata distratta momenti prima del maleficio. Ai primi sospetti la Navarra si accese in viso, e diede segni di disperazione. Acceduto sul luogo il Pretore e poscia l’arma dei Reali Carabinieri, la Navarra fu sottoposta ad un primo interrogatorio col quale proclamando la sua innocenza, ammise soltanto che causalmente aveva lasciato cadere nel riso alcuni fiammiferi, che immediatamente aveva tolti, e gettati via. La Navarra dietro ordine del pretore fu consegnata in arresto ai Reali Carabinieri, i quali nel tradurla in caserma ebbero da costei la confessione che volontariamente aveva gettato delle teste di fiammiferi e per istigazione del suo innamorato Nicola Silletti calzolaio di Santeramo, il quale non ostante che la Navarra era incinta, aveva promesso di sposarla.
Il Pretore si era allontanato dalla residenza per accesso civile, e con lui il cav. De Lena difensore di una delle parti in causa. Tornando la sera da campagna fu avvertito da un rapporto del Brigadiere dei R. Carabinieri che dopo le rivelazioni della Navarra, egli si era messo sulle tracce del Silletti, che aveva rinvenuto dopo cinque ore di ricerche; e per aver costui negato gli amoreggiamenti con la Navarra, l’avea tradotto in arresto. La Navarra confermò con l’interrogatorio, reso successivamente, innanzi all’autorità giudiziaria, le rivelazioni fatte al brigadiere e confessò la sua colpabilità e quella del suo innamorato Silletti; confessioni che raffermò anche con interrogatori posteriori. Però venuta nel carcere di Bari ed interrogata nuovamente dopo un mese, disse che le sue confessioni non erano state spontanee, ma suggerite dalla famiglia De Lena; ed è notevole che quando l’istruttore richiese quali erano state le suggestioni, la Navarra affermò che il De Lena le diceva “dì il giusto, e così potrai salvarti”.
Il De Lena con la sua prima dichiarazione e con altre posteriori si mostrò convinto, che altri aveva dato mandato al Silletti per istigare la Navarra a commettere il reato, non avendo né la Navarra né il Silletti rancori o dispiacenze con lui; però non indicò alcuno, come possibile agente principale.
Nel corso della istruzione dietro le rilevazioni fatte da una certa Raffaella Masiello, apparve la figura del dottore Vitangelo Sette; ma la camera di consiglio lo prosciolse dall’accusa.
Il processo scritto fu pienamente confermato nel dibattimento orale, meno la deposizione di Giuseppe Barberini brigadiere dei R. Carabinieri, il quale smentì recisamente, e disse non veri tutti i suoi verbali e rapporti: ed affermò che tutto quello che aveva detto e scritto lo aveva fatto per volontà del pretore amico del De Lena. Siccome però ciò che egli aveva scritto nei verbali, l’avea confermato innanzi all’istruttore e procuratore, e siccome cadde in tante e sì aperte contraddizioni, da rendere manifesto il suo mendacio, così il P. M. richiese l’immediato di lui arresto, iniziandosi processo per falsa testimonianza – istanza che infine di dibattimento ritirò, ritenendo il Barberini uno povero illuso; e la Corte mise in libertà il brigadiere.
Il De Lena provò luminosamente la sua onesta figura nei partiti amministrativi di Santeramo e che si è procurato molti nemici, per aver egli voluto sostenere l’interesse pubblico. Con documenti provò che fin dal 1874 aveva sbaragliate le amministrazioni comunali che si erano rese incontabili per aver maneggiato denaro del comune, che poscia vennero condannati a restituire; provò che aveva messo freno a larghi stipendi, che si volevano concedere ai medici condotti e ad ostetriche; e provò che aveva levata la voce per la sottrazione di documenti dell’archivio comunale, al Municipio favorevoli.
Importante fu la dichiarazione resa dal cav. De Laurentiis, persona specchiatissima della nostra provincia: egli mise a rilievo la superiorità di ingegno del De Lena in Santeramo, e la sua rettitudine nella vita pubblica.
Marcò come in questa causa dietro le meschine figure della Navarra e del Silletti vi erano gli avversari del De Lena, e lo desunse dal movimento ed agitarsi di essi dal primo momento dell’avvenimento fino al dibattimento, e dal lusso di difesa spiegato per due nullatenenti.
Come importante e molto lusinghiere furono pel De Lena le dichiarazioni del cav. Lupis, del Cav. Accolti Gil, e del Ricev. del registro e bollo di Altamura sig. Guadagni che per otto anni era stato a Santeramo, e conosceva a fondo uomini e cose.
Il discarico della Navarra e del Silletti fu rappresentato dai medesimi testimoni che nella istruzione formò il discarico di Vitangelo Sette, con l’aggiunzione e dell’istesso Sette, il quale parlò con tanto spirito di parte che il P.M. lo richiamò, e lo disse interessato e sopraggiunse che mal si era avvisato a non opporsi alla sua audizione.
Ma quello di scarico fu severamente tartassato dal De Lena, il quale per ognuno dei testimoni presentò dei documenti comprovanti come appunto essi erano degli Amministratori sbaraglisti, quelli dai larghi stipendi e quelli dei documenti sottratti in archivio.
La parte civile sostenuta dal cav. Giuseppe Suppa svolse ampiamente tutta la tela del processo, dimostrò l’audace mendacio del Giuseppe Barberini, che aveva voluto offendere anche il l’onorabilità di un Pretore, pel quale ebbe parole di stima, essendo oramai conosciuto chi è Pietro Labellarte, attuale Pretore di Santeramo, decoro e lustro della nostra magistratura. Aspre severe parole usò contro gli avversari del De Lena che cercarono sempre denigrarlo, e respinse con fondate ragioni la simulazione del fatto che dai nuovi nemici del De Lena comparsi come testimoni a discarico si era messa innanzi come mezzo per salvare i due accusati.
Il P. Ministero rappresentato dall’egregio e distinto sostituto Procur. del Re sig. De Lorusso, mise anch’egli a rilievo la onesta ed intelligente figura del De Lena, avvalendosi della dichiarazione del Cavaliere De Laurentiis e di quelle del cav. Accolti Gil e Guadagni persone queste strane al paese ed ai partiti. Rivendicò l’onesto e retto procedere del Pretore e dei funzionari giudiziari che avevano istruito il processo, e facendo un minuto esame delle prove, conchiuse che nessun dubbio vi era sulla reità dei due imputati e perciò chiese un verdetto affermativo.
Il difensore della Navarra signor Guarnieri, sostenne con molto calore ed abilità la innocenza dell’imputata, fermandosi specialmente sulla simulazione del reato, e sulla non spontaneità delle confessioni rese con gli interrogatori.
I distinti ed egregi avvocati signori Papalia e Bavaro, furono valorosi e felicissimi e le loro splendide arringhe.
Il cav. Pugliese, campione del foro tranese, parlò come sempre con molta cognizione scientifica e letteraria. Disse il fatto in discussione una mostruosità al legale, una mostruosità scientifica, ed una mostruosità orale, e fermandosi su quest’ultimopunto, volle dimostrare che il reperto, mentre era composto prima di 500 grammi di riso, e 500 grammi di acqua, fu poi trovato di 800 grammi di riso ed 800 d’acqua; e finalmente un’ultima volta di 500 grammi in tutto fra riso e d’acqua. Questa supposta alterazione di reperto, presentata con quella valentia che è tutta propria del cav. Pugliese, produsse una sensazione nel pubblico, e perciò furono costretti a replicare il difensore della parte civile, ed il Pubblico Ministero.
Il cav. Suppa con brevi ed efficaci parole, e con argomenti molto stringenti, respinse la voluta alterazione del reperto, dimostrando come non risultava da nessun atto che l’acqua in cui era contenuto il riso, fosse di 500 grammi; disse che il riso asciutto era di 500 grammi, ma che è rimasto in acqua per molte ore, si era naturalmente aumentato di peso: disse che 500 grammi di riso non si potevano certamente lavare in 500 grammi (mezzo litro) di acqua, e che perciò vi era stato bisogno di oltre un litro, e dimostrò infine come il peso di 500 grammi che risultava dal perizia Morelli, era a seguito di semplice dimanda rivolta al perito dall’Istruttore, e non a seguito di misurazione che se ne fosse fatta, e che doveva riferirsi al mezzo chilo di riso asciutto messo a spugnare e non poteva mai riguardare l’intero reperto. A convalidare le sue ragioni fece istanza che il reperto fosse presentato in udienza ai giurati. A tale istanza aderì la Corte, nonostante viva opposizione della difesa.
Replicò il P. Ministero, respingendo anche gli attacchi fatti contro l’integrità del reperto, e dimostrando ancora una volta la esistenza del reato e la colpabilità degli imputati, facendo un caldo appello alla coscienza dei giurati onde mettessero un verdetto affermativo.
Da ultimo prese la parola l’egregio avvocato Papalia, per rispondere alla parte civile e dal P. Ministero.
I giurati con voti 6 negativi, 5 affermativi, ed uno illeggibile, mandarono assolti gli imputati.
E così ebbe termine un dibattimento, dal quale ognuno può ancora una volta trarre ammaestramento della perniciosità dell’ira dei partiti, quando questi, piuttosto che provvedere al bene pubblico, pensano ad ostacolare il libero corso della giustizia, per assicurare l’impunità ai malfattori!

tratto e adattato da Il Progresso, 06/05/1886

Nel napoletano in particolare si usa ancora il modo di dire: “Si’ nu bicchier’e cape ‘e fiammifere” proprio ad intendere la pericolosità dei fiammiferi utilizzabili come veleno per via della mistura di fosforo che compone la testa del fiammifero. Inoltre, il cloruro di potassio contenuto nella testa dei fiammiferi può portare ad alterazioni del sangue. Lo stesso vale anche per i coloranti per la presenza di anilina, molto tossica.

In seguito, dopo dodici anni nel 1898, Giovanni De Lena sarà ancora il bersaglio in un nuovo tentativo di omicidio come avevo già raccontato.

Fonti consultate

Il Progresso, 06/05/1886
Qual era per i napoletani del ‘900 la pericolosità dei fiammiferi, NapoliToday, 15/03/2021, consultato il 08/04/2021

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