St. Louis, il Coraggio di un Capitano

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra il Giorno della Memoria, ricorrenza dedicata a ricordare le vittime del genocidio perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati. In tale data è stata pubblicata una graphic novel disegnata da Alessio Lo Manto, che ho avuto modo di contattare per raccontarci qualcosa su di se e sulla pubblicazione di St. Louis, Il Coraggio di un Capitano, edito dalla casa editrice Round Robin. Saliamo a bordo della nave comandata da Gustav Schröder che attraversò l’oceano atlantico diretta verso il continente americano nella speranza di portare in un porto sicuro centinaia di ebrei costretti a lasciar l’Europa.

Tramite i disegni di “Ale Momentaneamente” ci immergiamo in una storia veramente accaduta, un passato di fuga e soprusi, di emigrazione forzata e disillusione che non dobbiamo mai dimenticare.

Filippo Natuzzi: Grazie per aver accettato la chiamata, non è una cosa che succede tutti i giorni.

Alessio Lo Manto: Noi ci siamo visti qualche volta al Tangram in realtà.

FN: Paliamo un po’ di te. Da dove vieni?

ALM: Innanzitutto la cosa simpatica è che le mie origini non sono prettamente santermane. I miei sono siciliani. Sono nato ad Acquaviva però alla fine son sempre vissuto a Santeramo, le mie origini sono parzialmente santermane, acquisite diciamo. Questa è una piccola cosa che spero non vada ad inficiare il lavoro [ride, ndr]

FN: Ho visto velocemente che il cognome Lo Manto è un cognome siciliano.

ALM: Agrigento è il mio caso

FN: Il fatto di avere delle influenze da più regioni d’Italia è qualcosa che può arricchire, come tu ben sai, il fatto di avere a che fare con più culture diverse può solo arricchire la vita di una persona. Questa cosa ce l’hai raccontata come concetto che si trova in St. Louis.

ALM: Più che altro St. Louis è il frutto del lavoro di Sara Dellabella, la giornalista che scritto i testi e ha fatto la ricerca storica in collaborazione con la Fondazione Museo della Shoah e con la Comunità Ebraica di Roma. Per la parte dei disegni me ne sono occupato io. C’è stato un doppio binario. Nel fumetto si parla di diversità, del rifiuto del diverso, del rifiuto della categoria sociale che viene additata come responsabile dei problemi dell’umanità. Il periodo cambia ma la sostanza rimane la stessa.

FN: Nel tuo caso hai vissuto il fatto di cambiare città. Il popolo ebraico ha dovuto abbandonare la Germania in una situazione di costrizione. Ai tempi attuali, in Italia, chi deve spostarsi da una città lo fa per questioni lavorative. Tu hai lasciato Santeramo per trasferirti a Torino. Come ti sei trovato?

ALM: In realtà bene, considerando che mi sono trasferito in periodo “Covid”, nei limiti del possibile mi sono trovato abbastanza bene. Qui sto avendo a che fare con persone, sia torinesi che non, sia studenti che lavoratori dal Sud Italia, quindi Campania, Sicilia, Puglia, anche con torinesi ovviamente, stranamente in minoranza. Ma credo che sia dovuto al fatto di avere delle amicizie in comune che mi hanno portato ad avere più frequentazioni di esterni a Torino, ma quattro o cinque torinesi DOC li ho “beccati”.

FN: So che ti sei avvicinato al modo del fumetto da quasi 10 anni. Solitamente ci si avvicina ai fumetti da bambini leggendo Topolino o altro, immagino di capire che per te non è stato così.

ALM: E’ un po’ diverso. Anche io nel periodo delle elementari leggevo più Paperino che Topolino, mi piaceva di più. Era un passatempo, come tutti i  bambini disegnavo, però non avevo dedicato tempo allo studio del fumetto. Sono stato come quei ragazzini che ricopiano e disegnano, però l’adolescenza è stata diversa, non mi sono occupato specificatamente di quello.

Poi c’è stato un momento specifico: ero a Gerusalemme e ho letto per la prima volta Joe Sacco, e in quella circostanza ho capito che si poteva raccontare col fumetto una serie di cose che comunque erano di attualità, che potevano rompere particolarmente, come posso dire, i “muri”. Fa in modo che le coscienze possano essere disposte ad accogliere anche temi particolarmente distanti, o particolarmente duri da accettare, e quindi quell’incontro, tra virgolette, con Joe Sacco mi ha permesso di interessarmi al fumetto un po’ di più, quindi leggere. In particolare sono partito con il Graphic Journalism. Questo mi ha permesso di interessarmi, ha fatto un po’ da apripista al resto delle mie letture. Poi siccome mi trovavo in circostanze in cui avevo bisogno, o voglia, di raccontare delle cose che avevo vissuto, dato che facevo il volontario all’estero in quel periodo, ho incominciato a scarabocchiare, disegnare qualcosina. Poi ad un certo punto, disegna oggi e disegna domani, ho pensato che quelle conoscenze da autodidatta non bastavano più e ho deciso di iscrivermi ad una scuola di fumetto. Ho iniziato un percorso più consapevole.

FN: Quindi ti sei iscritto alla Scuola di Grafica e Fumetto Grafite di Bari. C’è qualcuno che ti ha spinto e incoraggiato?

ALM: In realtà ci sono state un po’ di persone che a vario titolo mi hanno incoraggiato, non dico nell’intraprendere il percorso da fumettista professionista, però mi hanno incoraggiato guardando i miei “disegnucchi”, i miei “scarabocchi”, e mi hanno incoraggiato nel continuare. C’è una persona che mi ha incoraggiato a partecipare al primo concorso, che poi ho vinto in maniera diciamo inconsapevole, tant’è che c’è un aneddoto simpatico: quando mi hanno chiamato per dirmi che avevo vinto ero convinto che fosse uno scherzo telefonico, poi mi hanno detto, “no, guarda che è vero”. Poi ci sono state persone che hanno creduto in me, anche per un altro concorso, e quindi mi hanno spinto. Poi sicuramente il direttore della scuola Grafite è stata una delle prime persone che ha credito in me anche perché, con la mia età e con la mia inconsapevolezza nell’approcciare il fumetto, lui ci ha visto e ha voluto investire in me, come in tutta la classe d’altronde. Per l’ammissione a questa scuola è stato bello perché nonostante non avessi le carte in regola da “appassionato di fumetti da tutta una vita” comunque ci ha creduto.

FN: Dall’introduzione del fumetto St. Louis è scritto che il linguaggio del fumetto, della graphic novel, è in grado di raggiungere persone a cui il linguaggio giornalistico non giungerebbe. Che rapporto c’è stato tra te e Sara Dellabella che ha curato la scrittura del fumetto?

ALM: Sono stato contattato dalla Round Robin per partecipare a questo progetto, poi successivamente è passato il rapporto, quindi è passato il testimone dall’editore direttamente alla squadra che ha realizzato il lavoro: parliamo di Sara Dellabella e c’era anche Emanuele Bissattini che ha curato la sceneggiatura, ha tradotto il linguaggio prosaico in sceneggiatura. C’è stato un rapporto abbastanza costante, sia un po’ per la questione dei riferimenti fotografici, della ricerca di informazioni varie su come disegnare e proprio in generale sull’andamento della storia. C’era un rapporto abbastanza costante. Ci sentivamo una volta a settimana almeno.

FN: Com’è stato per te avere del materiale fotografico e tradurlo in immagini? Perché un fumetto storico deve essere in qualche maniera riconoscibile da parte di un lettore.

ALM: Quando c’era del materiale era sempre ben accetto, considerando che nella mia piccola esperienza da fumettista quando mi è capitato di fare fumetto di realtà il riferimento fotografico è fondamentale, quando c’è la cosa gira liscio. Quando non c’è bisogna andare per analogia come mi ha insegnato il maestro Gian Marco De Francisco: andando per analogia a volte viene facile a volte no. Per esempio alcuni dettagli come il passaporto con la J di “jude”, cioè ebreo. Oppure qualcosa che era presente in foto, insomma ci sono degli elementi che sono presenti nel fumetto e che sono stati lasciati com’erano. Per gli interni della nave sono andato per analogia con alcuni transalantici del periodo, invece per la struttura esterna avevo delle foto.

FN: Sei ancora giovane e hai tanto davanti a te. Sto pensando parallelamente ad una altro “ragazzo” che ha lasciato Santeramo, ma che grazie al fumetto è diventato noto nell’ambito: sto parlando di Angelo Stano che ha contribuito al primo numero di Dylan Dog.

ALM: Un ragazzo bello grande [ride, ndr]

FN: Ora sì, sono passati tanti anni. Dylan Dog, essendo un fumetto seriale Bonelli, aveva una forte base di pubblico su cui crescere. Nel tuo caso ti piacerebbe un giorno partecipare ad una “serie” di fumetti?

ALM: Nella vita non si sa mai, al momento non sto puntando a seriali, anche perché intorno a me c’è un percorso davanti bello lungo, c’è ancora da camminare prima di arrivare a quei livelli. Però chissà, nella vita non si sa mai. Non è la priorità in questo momento. Sono ancora abbastanza lontano dall’entrare in una grande squadra come quella Bonelli ad esempio.

FN. Grazie e in bocca al lupo.

Il volume St. Lous, il Coraggio di un Capitano, edito da Round Robin, può esser acquistato nelle librerie di Santeramo oppure online.

Martedì 16 febbraio 2021 alle ore 18.00, c’è stata una presentazione in streaming su Zoom e sulla pagina Facebook del Centro di Cultura Ebraica di Roma.

Giovedì 18 marzo 2021 alle ore 18.00, c’è stata una presentazione in streaming sulla pagina Facebook de La penna rossa

Sabato 10 aprile 2021 alle ore 19:00 in una serata speciale con Dario Campagna e Gad Lerner se ne è parlato ancora.

Domenica 11 aprile 2021 alle ore 8:10 è andato in onda un servizio su Rai2 nella trasmissione “Sorgente di vita

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