L’origine del demanio in Santeramo in Colle
E’ fuori dubbio che il demanio in Santeramo in Colle sorse e si affermò col sorgere dello stesso paese.
Scarse notizie la storia ci fornisce circa l’origine di Santeramo, che alla fine del terzo secolo non ancora era sorta. Nondimeno si sa che nel 302 Santo Erasmo – cittadino di Antiochia e vescovo di una delle città di quell’insigne patriarcato – per sfuggire alle persecuzioni ordinate da Diocleziano in danno dei cristiani, venne in Italia, nella Puglia Peucezia, ed insieme ai fedeli che seguivano le sue pratiche religiose si fermò nel Bosco di Acquaviva. Naturalmente i nuovi arrivati sentirono il bisogno di fornirsi non solo di ripari, ma ancora dei mezzi di sussistenza, sicchè ai primi provvidero col costruire capanne, ai secondi con l’usare del territorio sul quale si erano rifuguati.
Il vescovo di Antiochia intanto, scoperto da Diocleziano, fu tradotto a Mola di Gaeta ed ivi sottoposto a martirio. E narra la tradizione che nel giorno del martirio siasi operato il miracolo per il fatto che il dito pollice del Santo si ebbe a trovare sull’altare della vecchia chiesa che in onore di lui era stata eretta. Da ciò ebbe a verificarsi aumento di fedeli in quel luogo che si disse protetto dal Santo, – aumento che andò sempre più accentuandosi per le invasioni dei paesi della Puglia ad opera dei Goti e degli Eruli. Fu così che quell’ammasso originario di capanne – che prima ebbe il nome di Casale di Santo Erasmo – venne poi ad ingrandirsi maggiormente, prendendo forma di paese – col nome di Santo Erasmo e più tardi Santeramo – del quale fu istituito Patrono il Santo, al cui nome fu eretto anche un monastero che fu mantenuto con le oblazioni dei fedeli.
Per soddisfare le proprie necessità la gente dell’antico Casale era spinta a far uso del territorio di Acquaviva che si apparteneva ai signori De Fontanellis, i quali perciò pretesero di assoggettare alla propria giurisdizione i santermani ed imporre loro i tributi. Da ciò sorsero aspre contese, perchè i religiosi del Casale si dolsero della prepotenza dei feudatari di Acquaviva e fecero ricorso all’Arcivescovo di Bari, che, per mettere fine alle lotte feroci che ne conseguirono, invocò l’intervento sovrano. E l’Imperatrice Costanza, figlia di Ruggiero, primo Re di Napoli, nel 1155 spedì apposito privilegio col quale fu per la prima volta riconosciuto e stabilito che il Casale di Santo Erasmo, insieme al Monastero, si apparteneva all’Arcivescovo di Bari – vescovo primato di Puglia – con piena giurisdizione temporale e spirituale.
Non se ne ristettero però i feudatari di Acquaviva ed anzi alla morte dell’Imperatrice Costanza ripresero più accanita la lotta contro la gente di Santo Erasmo. Ma nel 1212 Nicola De Fontanellis firmò di sua mano un privilegio, col quale non solo donò alla chiesa di Santo Erasmo alcuni fondi nel tenimento di Acquaviva, e la dichiarò libera da ogni peso o tributo, ma concesse alla gente del Casale il diritto di pascere con propri animali, acquare, legnare e cogliere ghiande nel territorio di Acquaviva, senza peso o fida alcuna, incaricando i suoi Baglivi della rigorosa osservanza del concesso privilegio. E nel 1220 lo stesso Nicola De Fontanellis, confermando le già fatte concessioni, donò all’Arcivescovo di Bari, e per esso alla Chiesa di Santo Erasmo, la decima non solo dei terratici ed umoratici, che gli veniva corrisposta dai suoi vassalli, ma anche dei propri animali, del diritto della Piazza, delle ghiande e vettovaglie che raccoglieva dai propri campi, confessando con sincero pentimento che ingiustamente, sin dalla morte dell’Imperatrice Costanza, avea posseduto il Casale di Santo Erasmo, per la qual cosa faceva per l’avvenire promulgare dell’Arcivescovo la scomunica contro di sè, i suoi eredi e tutti coloro che avessero pensato di contraddire di vilare od in alcuna maniera contradire le concessioni da lui fatte.
Ciò non per tanto nuove vicende attese il Casale di Santo Erasmo, che attraverso un periodo di tempo venne tolto e ridonato parecchie volte all’Arcivescovo di Bari. Riprodurre oggi tali secolari vicende sarebbe cosa non consentita dall’indole sommaria di questa narrazione, che può a questo punto chiudersi col ricordo di un privilegio che dette un assetto stabile e definitivo a questo stato di continue esasperanti lotte tra i cittadini santermani e i feudatari di Acquaviva.
La Regina Giovanna I infatti, con suo decreto del 23 settembre 1374, donò in perpetuo all’Arcivescovo di Bari ed ai suoi successori tutti i beni confiscati al Duca di Andria, Francesco Del Balzo, condannato per fellonia, nonchè i diritti che questi esercitava sui detti beni. E dichiarò espressamente il citato decreto che con la fatta donazione “I castelli di Cassano e di Santeramo ed i loro uomini avranno da ora innanzi in comune con la Terra di Acquaviva e gli uomini di essa, il territorio, l’acqua, i pascoli e le selve quanto all’uso dei legnami e delle case, l’erba e le ghiande per proprio uso per uso dei propri animali“. E prescrisse inoltre che qualunque fosse stata la vicenda avvenire di Acquaviva, nessuna influenza essa avesse potuto esercitare sui Castelli di Cassano e di Santeramo.
Sorse così e si affermò a favore dei cittadini di Santeramo, attraverso più secoli, un primo demanio universale, quello nel territorio di Acquaviva.
Gli abitanti dell’antico Casale di Santo Erasmo erano di molto cresciuti di numero e perciò maggiori erano diventate le esigenze della loro vita, a soddisfare le quali più non era sufficiente quella parte del territorio di Acquaviva sulla quale avevano ottenuto le già viste concessioni. La necessità di vivere avea così spinto gli abitanti fin nel territorio della città di Matera, del quale si dettero a fare uso. Ciò dispiacque ai materani ed aspre furono le contese che sorsero tra questi e gli abitanti di Santeramo. Don Filippo, Principe di Taranto, nella speranza di far cessare la lotta, concesse ai santermani di potere coltivare, adacquare e pascere nel territorio e nelle matine site nell’agro materano, mercè il pagamento di alcuni tributi. Ma i Baglivi, Terragieri e Credenzieri, incaricati della riscossione di quei tributi, studiarono ogni mezzo per molestare i santermani nel pacifico possesso delle terre che coltivavano e dei diritti che esercitavano in base alla concessione del Principe, tanto che, quando si verificò la morte di lui, le molestie divennero così gravi ed insopportabili che i santermani dovettero abbandonare le terre occupate.
Per l’intervento dell’Arcivescovo di Bari, Caterina d’Angiò, Principessa di Taranto ed Imperatrice di Costantinopoli, con suo rescritto dell’agosto 1341, fece a favore dei santermani nuove concessioni, con le quali, pur confermando le precedenti, sottraeva quei cittadini alle vessazioni dei Baglivi, dei Terragieri e dei Credenzieri di Matera.
Reso vacante il Reame di Napoli, per la successione sorse conflitto armato tra Carlo di Durazzo e Luigi II d’Angiò. La guerra, durata parecchi anni, finì col trionfo di Ladislao che, succeduto a Durazzo, scacciò definitivamente Luigi II. Ladislao Re, per beneficiare i santermani dei servizii che gli avevano reso durante la guerra, con diploma del 10 maggio 1406, li liberò dai tributi imposti a loro carico da Caterina d’Angiò e per di più rese comuni ai santermani i territori di Gioia e di Altamura.
E così un secondo demanio – più importante del primo – si venne intensificando a favore dei cittadini di Santeramo, quello cioè detto “Materano” perchè sorto nel tenimento di Matera.
tratto e adattato da Le usurpazioni demaniali a danno dei cittadini e del Comune di Santeramo in Colle, Avv. Nicola Tommaso Lopez, Officine Grafiche F.lli Laterza & Polo, Bari, 20 maggio 1926, p. 7-12