Vincenzo Ranieri, il maresciallo buono

Diverso tempo fa notai una targa commemorativa che si trova vicino Piazza Garibaldi, al lato destro dell’ex tabaccaio. Sapevo che era dedicata ad un carabiniere che perse la vita durante una rapina in banca e che tra qualche giorno ci sarà un incontro per ricordarlo a 40 anni di distanza.
Domenica scorsa, trovandomi sul luogo, scattai una foto alla lapide, e dopo aver risposto a modo a ragazzini nullafacenti che mi scambiavano per il primo turista di Santeramo (non bisogna esser turisti per scattar fotografie) ho incontrato tre signori sulla sessantina che invece sapevano bene quel che dicevano e quel che accadde lì.

Il maresciallo Ranieri non era santermano, ma era nato a Palese il 22 settembre 1927. Si era arruolato nel 1948 nella Legione allievi di Torino. Poi era stato in servizio a Genova fino al 1956. Dopo il corso per la promozione a sottufficiale era stato impegnato in reparti della Legione di Napoli. Successivamente venne trasferito a Palermo dove rimase fino al 1965. Ebbe quindi il riavvicinamento in Puglia, prima presso la stazione di polizia giudiziaria di Noci, poi a quella di Mola ed infine a quella di Santeramo che comandava dal 1970.

Passarono 6 anni e Santeramo viveva in maniera tranquilla gli anni di piombo. Erano gli anni segnati dalle Brigate Rosse, al governo c’era Aldo Moro. Era lunedì 22 marzo, primavera iniziata da appena due giorni. Intorno alle ore 13 avvenne la rapina.

I tre signori che ho incontrato domenica mattina mi hanno reso partecipe dei loro ricordi, che qui ricostruisco:
La banca era lì, vedi quelle due saracinesche? Quella era Cassa Rurale ed Artigiana di Santeramo, la banca era là sotto“. La Cassa Rurale ed Artigiana aveva sede in Piazza Garibaldi sul lato nord-est, dove adesso c’è un negozio di articoli per la casa e arredamento ai civici 10 e 11.
Io ero lì, io ero dove c’è quella macchina, lì, col camion di mio padre. Mio padre che era in banca…“, quando entrarono i rapinatori intimarono: “Fermi tutti!“.
Stando nel camion mi hanno intimato, perchè avrei potuto farmi avanti col camion e bloccare la loro macchina“.

Era troppo buono, lui non è che aveva intenzione di sparare, lui andò lì ed intimò l’alt. E poi ci fu una sparatoria, fu sparato alle spalle“. I primo soccorritori sentirono queste sue parole:

Diamine, io sono stato attento a non ammazzarli ed ora mi ritrovo con una pallottola

Sono stati tutti acchiappati. Erano della zona di Lecce“. La caserma dei carabinieri era in Via Japigia presso il Palazzo Colonna. “Quando furono acciuffati, li portarono alla caserma dei carabinieri, la folla li voleva linciare, uno dei rapinatori si è salvato per miracolo“.

Lo hanno ammazzato perchè era una brava persona“. Ed inoltre: “Era una bravissima persona. Il maresciallo dei carabinieri in questo contesto viene dopo il sindaco. Era l’istituzione, dopo il sindaco veniva il comandante della stazione dei carabinieri“.

La Gazzetta del Mezzogiorno seguì attentamente la vicenda come dimostrano i tanti articoli pubblicati che riporterò di seguito, e anche al giorno d’oggi il ricordo rimane vivo nelle menti di coloro che erano presenti nei pressi della banca.

La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, Federico Pirro, p. 1-2
Sanguinosa sparatoria dopo un “colpo”

Maresciallo ucciso a Santeramo da rapinatori in fuga

Sorpresi dall’arrivo dei carabinieri, i banditi si sono aperta la strada a colpi di arma da fuoco: uno ha ferito a morte il sottufficiale Vincenzo Ranieri, 49 anni, originario di Palese (Bari) – Raggiunto dalle pallottole anche un ragazzo – Inseguiti da un appuntato, due dei quattro malviventi (uno di Trepuzzi, l’altro di Lecce) sono stati arrestati ed hanno rischiato il linciaggio – Il cordoglio di Giovanni Leone e Aldo Moro ai familiari della vittima.

Vincenzo Ranieri
Maresciallo Vincenzo Ranieri (riproduz. Luca Turi)

Dal nostro inviato Federico Pirro 
Santeramo (Bari), 22 marzo
E’ stato ammazzato mentre cercava di bloccare i banditi che avevano appena rapinato una decina di milioni alla Cassa Rurale Artigiana di Santeramo. Vincenzo Ranieri, nato 49 anni fa a Palese, comandante dei carabinieri della cittadina pugliese dal 1970, è stato colpito da un proiettile penetrato all’altezza del rene destro.
Trasportato all’ospedale di Acquaviva, è stato immediatamente sottoposto ad una trasfusione; i battiti cardiaci parevano rivitalizzarsi ma neppure il tempo di allestire la sala operatoria ed è spirato tra la disperazione della moglie Maria Guario e dei figlioletti Vito di 7 anni e Anna di 12.
La tragedia era esplosa un paio di ore prima, verso le 13, in piazza Garibaldi dove è la sede dell’istituto di credito. La ricostruzione è complessa e fino ad ora tarda non era stata ancora definita dagli inquirenti in tutti i particolari. Questa, tuttavia, la dinamica secondo le prime testimonianze. Una “124” targata BA 332707 si ferma in piazza Garibaldi; vi sono a bordo quattro persone: una rimane in auto, una seconda si ferma sull’uscio a fare da palo con un fucile a canne mozze; gli altri due, pistole alla mano, fanno irruzione e bloccano impiegati e clienti (in tutto una ventina di persone), costringendo il cassiere ad aprire due casseforti dalle quali razziano il denaro, spingono tutti in una piccola camera ed escono. Ma l’auto non c’è più. Trovano però ai due estremi dell’isolato il maresciallo Ranieri e l’appuntato Giuseppe Santoro. Vi è una sparatoria, mortale, per lo sventurato sottufficiale; rimane coinvolto anche un ragazzo, ferito alla bocca e alle gambe.
I banditi hanno strada libera per fuggire e imboccano l’Interna via Ladislao dove successivamente sarà rinvenuta una scatola con poco più di un milione. Intanto sono giunti altri carabinieri; l’inseguimento (sono tutti a piedi) lo prosegue l’appuntato Santoro che finalmente incoccia i banditi in via Beccaria: sono a bordo di un furgoncino targato BA 317162. Sotto il tiro del mitra si arrendono: sono quattro, ma sembra che due soltanto siano i rapinatori – Gaetano Solazzo, 28 anni di Trepuzzi e Guido Martina, 23 anni di Lecce – gli altri erano invece alla guida del furgoncino bloccato dai malviventi che intendevano impadronirsene per proseguire la fuga. In piazza Garibaldi avevano già fatto un tentativo analogo verso un’auto in sosta, ma inutilmente, poichè il proprietario, accortosi in tempo della manovra, aveva strappato le chiavi dal cruscotto.
Che era successo del “palo“? Il vice comandante dei vigili urbani, tenente Mario Santoro, che passa di li per caso, era stato avvisato della rapina mentre essa era ancora in corso, da un passante. Aveva immediatamente telefonato in caserma: “Non posso intervenire, sono disarmato. Fate presto“. Mentre i carabinieri si accingevano ad intervenire, il tenente si era preoccupato di bloccare le strade d’accesso a piazza Garibaldi: via Netti con la propria 850, via Annunziata e via Roma con due pullman nel frattempo sopraggiunti, via Chiancone era poi tenuta a bada dall’appuntato Santoro che, abitante nei pressi, aveva saputo di quanto stava accadendo. Il “palo“, che era alla guida della “124”, accortosi delle contromisure, aveva preferito allontanarsi (l’auto sarà poi rinvenuta ad un chilometro dall’abitato, sulla via per Altamura). Giunge intanto il maresciallo Ranieri. Questa la situazione quando i banditi lasciano la banca. Quindi l’esplosione dei colpi, il ferimento del sottufficiale e la fuga verso via Ladislao, l’unica rimasta senza controllo. Il resto è noto.
In pratica sono da individuare altri due banditi: quello, a bordo della “124” e l’altro dei tre che è riuscito a dileguarsi, a differenza dei due fattisi poi acciuffare a bordo del furgoncino, con quelli che in un primo momento sono stati scambiati per complici.

Uno dei rapinatori arrestati (foto Jurino)
Uno dei rapinatori arrestati (foto Jurino)

Le indagini le sta curando Il colonnello Del Core; è poi intervenuto il sostituto procuratore della Repubblica di Bari, dott. Ciccarelli. La palazzina dove ha sede la stazione dei carabinieri (al 3. piano abitava il povero Ranieri), è circondata da un migliaio di persone che attendono l’uscita degli omicidi. “Lasciateceli – gridano infuriati in continuazione – fate finta che vi sfuggano e ci pensiamo noi a massacrarli“. “Li vogliamo solo ammazzare e poi ce ne andiamo“. “Se il povero Ranieri fosse qui – osserva il comandante del vigili urbani Raffaele Cacciapaglia – si sforzerebbe di calmarli. Era un vero democratico, credeva nella persuasione. Alle manifestazioni di sciopero io ero per la sferza, ma lui preferiva discutere, convincere, perchè diceva, la gente va educata“.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, Federico Pirro, p. 1-2

Il Maresciallo Ranieri portò a Santeramo un nuovo modo di affrontare chi non rispettava le leggi, una maniera più orientata alla comprensione e al convincimento.

I tempi sono cambiati, la violenza genera altra violenza; cerchiamo di capire questa nuova parola: disadattati, ed usiamo mezzi democratici

La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, Michele Cristallo, p. 1-2
“Era un generoso” dicono parenti e colleghi di lavoro

Cinque giorni fa aveva donato il sangue al cognato

Il valoroso sottufficiale è stato colpito da una sola pallottola alle spalle – E’ morto in sala operatoria – Lo straziante dolore della moglie davanti alla salma

Dal nostro inviato Michele Cristallo
Acquaviva delle Fonti, 22 marzo
La salma del maresciallo Vincenzo Ranieri giace nella camera mortuaria dell’ospedale “Miulli”. Una porta sgangherata lo divide dal vialetto alberato poco distante dall’ingresso del nosocomio. Da un palazzo vicino giungono le note di un complesso musicale che prova alcuni “pezzi”; un contrasto stridente tra la vita e la morte che rende ancora più doloroso questo drammatico momento. Davanti alla porta due appuntati dei carabinieri che col maresciallo Ranieri avevano partecipato a tante operazioni svolgono il loro dovere di istituto: hanno gli occhi lucidi. Gli inviti ad allontanarsi che di tanto in tanto rivolgono a curiosi tradiscono la loro emozione, la rabbia che hanno dentro.
Uno di essi era stato ieri pomeriggio allo stadio col maresciallo per il servizio d’ordine durante la partita. “Era di buonumore – ci dice sottovoce -; abbiamo fatto tante risate. Era tanto generoso. Ed ora eccomi qui a vegliarne la salma. E’ incredibile; non è possibile che egli ora sia lì sulla lastra di marmo, privo di vita“.
E’ la nostra vita – aggiunge un altro -; ogni tanto qualcuno dl noi…” e la frase si spezza lasciando lo spazio ad una serie di riflessioni di cui non è difficile intuire il contenuto.
Il maresciallo Ranieri è morto da qualche ora, alle 13,30 circa. E’ accaduto tutto così fulmineamente: la sparatoria con i banditi, il ricovero all’ospedale di Santeramo, l’inutile corsa a quello di Acquaviva. Qui in sala operatoria era stato tutto predisposto per un disperato intervento chirurgico. Ma non è servito a niente. Il maresciallo Ranieri è morto subito dopo il ricovero. Una pallottola, una sola, lo ha colpito alla regione dorsale sinistra; gli ha attraversato la colonna vertebrale e probabilmente gli ha perforato un polmone. Non è fuoruscita. I periti dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Bari hanno appena compiuto in presenza del magistrato che dirige le indagini il riconoscimento del cadavere ed una prima ispezione sommarla. Domani mattina sarà fatta l’autopsia.
Da qualche ora è andata via la vedova del valoroso sottufficiale, Maria Francesca Guario. La poveretta era distrutta; ha gridato tutto il suo dolore e la sua disperazione per questo efferato delitto. Poi alcuni parenti, gli stessi superiori del marito, l’hanno convinta a rientrare a Santeramo nella sua abitazione, nella caserma del carabinieri, accanto ai figli Annamaria e Vito. Sono andati via anche il comandante dell’ottava Brigata dei carabinieri gen. Casarico, della Legione di Bari col. Petrini e del Gruppo ten col. Sirimarco. Sono rientrati a Santeramo ove è in corso l’interrogatorio del banditi arrestati.
E’ con noi un cognato del maresciallo Ranieri, Pasquale De Mola, di Palese, la frazione di Bari ove il valoroso ufficiale era nato 49 anni fa. “Stavo pranzando – ci dice – quando sono stato informato da alcuni vicini di casa della sparatoria. Avevano ascoltato la notizia alla radio. Sono corso qui ad Acquaviva. Vincenzo era già morto. E’ incredibile. L’ho visto l’ultima volta giovedì scorso al Policlinico di Bari ove un altro suo cognato Giuseppe Guario è stato sottoposto ad intervento per un’ulcera perforata. Quella mattina Vincenzo venne in ospedale per donare il sangue al cognato che aveva subito una forte emorragia. Era tanto generoso con tutti e in quella circostanza aveva dato un’altra prova del suo attaccamento a tutti i familiari. Ed ora è morto in una maniera così drammatica, così feroce. Povero Vincenzo – aggiunge -; tante volte mi aveva parlato dei suoi progetti di lasciare il servizio tra un anno o due“.
Il maresciallo Ranieri era nato a Palese, come abbiamo detto, il 22 settembre del 1927. Si era arruolato nel 1948 nella Legione allievi di Torino; successivamente era stato in servizio a Genova ove era rimasto sino al ’56. Dopo il corso per la promozione a sottufficiale era stato impegnato in reparti della Legione di Napoli; era stato poi trasferito a Palermo ove era rimasto sino al 1965; quindi in Puglia; era stato alla stazione di polizia giudiziaria di Noci, poi a quella di Mola ed infine a quella di Santeramo che comandava dal 1970. Era molto stimato ed apprezzato dai superiori per le sue capacità professionali. Godeva ampia stima anche presso la cittadinanza. “Provi a chiedere di mio cognato a Mola, a Noci – ci dice Pasquale De Mola -. Era un galantuomo, così scrupoloso così attaccato al suo dovere. Ed è morto per compiere sino all’ultimo questo dovere“.
Sono le 18 circa. C’è calma nei pressi della sala mortuaria dell’ospedale di Acquaviva; di tanto in tanto giunge qualche altro parente del maresciallo. Vincenzo Ranieri aveva quattro sorelle ed un fratello. Quest’ultimo, Angelo, è anch’egli nell’Arma: è appuntato in servizio alla stazione di Afragola. Il suo arrivo è atteso a momenti. Da Bari giunge anche il vice questore dott. Sarno comandante della Criminalpol con il vice questore dott. Bergamo, comandante la squadra mobile barese ed il commissario capo dr. Petrelli. Sono venuti a rendere omaggio al maresciallo Ranieri. Il triste ricordo del maresciallo Vittorio Maggiore ucciso anch’egli da un bandito nel gennaio del ’73 è inevitabile.
Giunge notizia anche che iI presidente Leone e l’on. Moro hanno telefonato al prefetto di Bari dott. Di Caprio pregandolo di rendersi interprete presso la famiglia dei sentimenti del suo profondo cordoglio. Nella caserma dei carabinieri di Acquaviva il vice comandante del Gruppo ten. col. Manzo, ci parla del valoroso sottufficiale. “E’ morto nel compimento del suo dovere – ci dice – ma è doloroso morire in quella maniera. E’ un’altra giornata di lutto per l’Arma. E’ un momento molto triste nel quale non si ha la forza neanche di commentare“.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, Michele Cristallo, p. 1-2

Riguardo i momenti successivi alla rapina c’è un aneddoto ricordato da Vito Leonardo Tritto.

TITOLO
La prima rapina alla Cassa Rurale ed Artigiana di Santeramo

Dopo che i banditi avevano rapinato la banca, si sparse in fretta la notizia in paese. La mamma di Domenico Vitti, lì impiegato, e che abitava al convento, scese di corsa Via Roma per sapere del figlio.
Arrivata davanti alla banca tre carabinieri le vietarono l’accesso. E lei col coraggio e forza di una madre, con una bracciata li fece cadere a terra, ed entrò nei locali ad abbracciare il figlio.

tratto e adattato da Noi che… eravamo così…, Vito Leonardo Tritto, p. 104

Uno dei rapinatori, Guido Martina, tentò la fuga salendo a bordo del furgoncino dei fratelli fornai Giovanni Digiorgio e Francesco Digiorgio. Questi furono sequestrati e minacciati con la pistola, ma una volta fermati furono scambiati per complici e arrestati per errore. Una pallottola esplosa dall’appuntato dei carabinieri Santoro colpì il polpaccio destro di Giovanni Digiorgio. I fratelli furono ammanettati e portati in caserma, con Giovanni ancora sanguinante.

La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, p. 2
Rilasciati due: sono estranei alla rapina

Santeramo (Bari), 22 marzo
A tarda sera sono stati rilasciati i due del furgoncino, i fratelli Giovanni Digiorgio e Francesco Digiorgio, di 21 e 19 anni. Si è accertato che, come avevamo anticipato, non c’entravano nulla con la rapina,
Dopo circa sette ore di interrogatorio, al quale ha in parte assistito per i Di Giorgio l’avv. Marino Maggipinto, i due sono stati rimessi in libertà.
Si è intanto appreso che i due banditi sono feriti; entrambi sarebbero stati scarcerati poco tempo fa per decorrenza dei termini: erano dentro per rapina.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, p. 2

Ho parlato telefonicamente proprio con Giovanni Digiorgio, che mi ha raccontato come andarono le cose viste dai suoi occhi. Giovanni Digiorgio conosceva il maresciallo Ranieri, perchè con il suo lavoro da fornaio era sempre a contatto con clienti e santermani.

Quella mattina, insieme al fratello Francesco, stavano facendo la consegna del pane con il loro furgoncino nella zona del mercato, nei pressi dell’attuale Piazza Giovanni Paolo II. All’improvviso arrivò un uomo di corsa che chiese il loro aiuto, dicendo di essere inseguito e di voler scappare da alcuni aggressori. Salì sul furgoncino ma una volta a bordo manifestò la sua reale identità puntando la pistola verso i due e costringendoli a dirigersi verso Via Altamura, dove probabilmente si trovava un altro mezzo per la fuga. Non potevano fare opposizione essendo minacciati, e si diressero verso la periferia accorgendosi di esser seguiti da un’auto dei carabinieri.
Allontanatisi dal centro però decisero di fermarsi e in breve furono raggiunti dall’appuntato che li seguiva. Quest’ultimo scese dall’auto esplodendo dei colpi di pistola in aria. I fratelli Digiorgio scesero dichiarandosi subito estranei alla vicenda, ma l’appuntato sapendo della presenza di una terza pistola, da 2 o 3 metri di distanza dai fratelli eslose un altro colpo verso Giovanni Digiorgio. Il fornaio sentì un colpo alla gamba ma inizialmente lo scambiò per il rimbalzo di un sasso, salvo poi rendersi conto della ferita. Alle imprecazioni verso il carabiniere seguì l’uscita allo scoperto del criminale che finì di nascondersi.
Vennero portati alla caserma in Via Japigia, e qui tra la folla inferocita vennero anche i fratelli Digiorgio accusati dalla folla di far parte del gruppo della rapina, con gente che urlava nei loro confronti frasi ingiuriose, mentre altri increduli li difendevano, avendoli visti lavorare normalmente nella consegna del pane vicino la zona del mercato.
Una volta chiarito il malinteso, la sera stessa vennero liberati

Giovanni Digiorgio presso l'ospedale di Santeramo
Giovanni Digiorgio, ingiustamente ammanettato presso l’ospedale di Santeramo

Per la ferita alla gamba Giovanni non potè lavorare per 60 giorni, e nel periodo del processo doveva esser presente alle varie seute in tribunale dovendo rinunciare al proprio lavoro, e senza mai ricevere alcun risarcimento.

La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, p. 2
Messaggi della Provincia e dei comunisti baresi

Il presidente dell’Amministrazione provinciale di Bari, prof. Mezzapesa, ha inviato due messaggi, alla vedova del maresciallo Ranieri e al comandante la legione dei Carabinieri di Bari.
A nome della Giunta, del Consiglio provinciale e mio personale – si dice nel primo – formulo sentitissime condoglianze per la scomparsa del vostro congiunto nell’adempimento del suo dovere. Siamo solidalmente vicini al vostro dolore, nel deprecare l’efferato episodio di banditismo e nell’auspicare che il sacrificio dell’eroico maresciallo Ranieri non sia vano“.
Nel secondo esprimendo “solidarietà alla benemerita arma dei carabinieri, ancora una volta colpite in uno dei suoi gli migliori impiegati nella Lotta al banditismo“, il Consiglio e la Giunta provinciale “manifestano vivissima esecrazione per l’efferato episodio criminale, e riconfermano il loro impegno politico per il miglioramento civile e morale della nostra società“.
La segreteria provinciale del Pci da parte sua in un telegramma mandato al comandante la legione dei carabinieri, al prefetto e al sindaco di Santeramo esprime vivo cordoglio per il barbaro e brutale assassinio. “Confermiamo – vi si dice inoltre – il nostro impegno per la difesa dell’ordine democratico e la necessità che le forze democratiche e le istituzioni repubblicane affrontino i provvedimenti adeguati. onde garantire la convivenza civile e l’ordinato sviluppo sociale“.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, p. 2

La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/03/1976, Federico Pirro, p. 1-14
Questa mattina i funerali del Maresciallo Vincenzo Ranieri

Arrestati i rapinatori di Santeramo: sono sei: c’è anche un “prof”

E’ il presidente della squadra di calcio di Acquaviva, istitutore al “Cirillo” di Bari: è accusato di essere il basista – Gli altri sono del Leccese; il “cervello” della banda era in “licenza di esperimento” dal manicomio criminale di Aversa – La ricostruzione del colpo e della drammatica cattura

Arresto-2
L’altro malvivente subito dopo la cattura accompagnato in caserma (foto Jurino)

Dal nostro inviato Federico Pirro
Santeramo (Bari), 23 mano
Sono sei e non quattro, come in un primo momento gli stessi inquirenti ritenevano, i responsabili della sanguinosa rapina alla “Cassa rurale e artigiana” di Santeramo che è costata la vita al maresciallo dei carabinieri Vincenzo Ranieri.
In meno di ventiquattr’ore sono stati tutti individuati ed arrestati: Gaetano Solazzo di Trepuzzi. 28 anni; Guido Martina di Lecce, 23 anni; Franco Rollo di Cavallino, 28 anni, Raffaele Gianfreda di Lecce. 35 anni; Angelo Calogiuri di Lizzanello, 27 anni; Simone Vito Pietroforte di Acquaviva, 27 anni.
Prima di ricostruire l’assalto all’istituto di credito (sottratti 22 milioni e 750 mila lire; ne sono stati recuperati poco meno di 17), soffermiamoci sulla personalità dei banditi. I primi cinque sono tutti del Leccese: pregiudicati, ad eccezione del Calogiuri. per rapina ed altri reati contro il patrimonio; il Solazzo ed il Martina in particolare erano stati di recente scarcerati per decorrenza dei termini. Gianfreda, poi, come egli stesso ha dichiarato al sostituto procuratore della Repubblica di Bari dott. Mario Ciccarilli che ha assunto la direzione delle indagini, è in “licenza di esperimento” dopo aver trascorso una decina di anni nel manicomio giudiziario di Aversa. Il “matto”, va aggiunto, era il “cervello” della banda: aveva insomma organizzato lui ogni cosa.
Il Pietroforte, infine, è certamente il personaggio più sconcertante: istitutore nel Convitto nazionale “Cirillo” di Bari, è anche presidente della squadra di calcio di Acquaviva delle Fonti che milita in prima categoria. La sua villa, dove abita da solo dopo la morte dei genitori, sarebbe servita da “base” alla rapina: si potrebbe quindi parlare di concorso o, quanto meno, di favoreggiamento. Nella cittadina è piuttosto noto, soprattutto per la sua solidità economica e per il suo… garage: ha una BMW 2000 rossa ed una Kawasaki.
Ed ora veniamo alla dinamica dell’aggressione, culminata nell’uccisione del maresciallo Ranieri che, nato 49 anni fa a Palese di Bari, era dal ’70 al comando della stazione di Santeramo, un centro di 21 mila abitanti tutto sommato tranquillo: i soliti furti d’auto, qualcuno in appartamento e nient’altro. Le rapine si leggevano dai giornali; ma ieri in prima pagina ed in televisione hanno visto le loro strade e sul selciato il sangue di una faccia amica. (Oggi il dott. Di Nunno ed il dott. Strada hanno eseguito l’autopsia: la morte è stata provocata dal proiettile che ha reciso la parte bassa dell’aorta andandosi poi a conficcare nel pancreas.)
Esecutori materiali del colpo sono quattro: Calogiuri, Solazzo. Martina e Rollo, giunti ad Acquaviva la sera precedente insieme a Gianfreda; tutti hanno pernottato dal Pietrotorte. Pare, inoltre, che qualche settimana prima siano stati a Santeramo per rendersi conto della situazione e studiare i luoghi.
Calogiuri rimane in auto, una “124” targata BA 332707 rubata il giorno prima a Bari, in attesa degli altri tre che entrano in banca armati di un fucile a canne mozze e di due pistole. Indossano una tuta e vengono scambiati per operai dell’Enel: i presenti, una ventina fra impiegati e clienti, sotto un nugolo di parolacce e la spinta delle “canne”, vengono cacciati in una cameretta; dal cassiere ci si fa intanto consegnare il danaro che è in due casseforti.
Qualche cliente approfitta del parapiglia per squagliarsela; si riesce così ad avvisare il vice comandante dei vigili urbani. ten. Mario Santoro, e lo stesso mar. Ranieri che è nei paraggi a bordo della propria auto con il figlio Vito di 7 anni che ha appena prelevato da scuola. “Scendi – gli dice il papà – vai a casa con quel tuo amichetto. Io ho da fare“. E’ l’ultimo contatto con la famiglia. Alla tragedia mancano ormai pochi minuti.
Il mar. Ranieri, dopo aver telefonato in caserma, blocca alcune delle vie d’accesso alla piazza Garibaldi dove ha sede la “Cassa”; sopraggiungono, quindi. gli appuntati Santoro e D’Amico. Quest’ultimo esplode alcuni colpi in aria per intimare il fermo al Calogiuri che è stato ormai notato poichè non fa altro che gironzolare intorno all’aiuola della piazza. Ma non serve, il bandito se la fila.
Dalla banca escono Rollo e Martina: vi è uno scambio di colpi con il mar. Ranieri che centra entrambi: contemporaneamente sbuca il Solazzo che, vedendo i complici inseguiti, spara verso il sottufficiale prendendolo alla schiena. D’Amico, che è dietro il maresciallo, ha intanto impegnato un conflitto con Io stesso Solazzo (i due maneggiano una pistola cal. 9) che rimane ferito al braccio.
Ha cosi inizio un drammatico inseguimento a piedi mentre il sottufficiale viene soccorso e inutilmente ricoverato all’ospedale civile di Acquaviva; dopo alcune trasfusioni ed un apparente miglioramento, lo sventurato Ranieri spira.
Nel frattempo sono stati acciuffati Solazzo e Martina. La cattura di quest’ultimo è stata rocambolesca: riesce a far perdere le sue tracce e incoccia un furgoncino con a bordo i fratelli Giovanni Digiorgio e Francesco Digiorgio di 21 e 19 anni: entrambi fornai, stanno distribuendo il pane. “Portatemi in caserma – grida il bandito – c’e uno che vuol farmi fuori“. Il bluff riesce. Montato sul mezzo, mette fuori la pistola e intima di prendere la strada per Acguaviva. L’app. Santoro, con la propria “127” è però riuscito a individuare il furgoncino: lo tallona, lo stringe contro il ciglio della strada e punta il mitra contro gli occupanti.
A mani alzate scendono i due fratelli gridando di essere estranei e che il vero responsabile è nascosto nel mezzo. “State zitti“, minaccia Santoro ed esplode una raffica: un proiettile colpisce il polpaccio destro di Giovanni, Il bandito capisce che ormai non c’è più niente da fare e finalmente fa capolino arrendendosi; ha intanto nascosto sotto il sedile la pistola che aveva con sè.
I tre vengono portati in caserma. Dopo diverse ore di interrogatori, sarà chiarito l’equivoco ed i due fratelli verranno rilasciati. Nelle mani dei CC. sono quindi soltanto due rapinatori: Solazzo e Martina. Il primo – ma la notizia richiede conferma perchè abbiamo appena varcato la soglia del segreto istruttorio – confessa aver sparato contro il maresciallo; indica poi i nomi degli altri complici e la base di partenza: la villa di Pietroforte. Immediatamente ci si reca ad Acquaviva e le manette scattano anche per padron di casa, Gianfreda e Calogiuri che ha tentato, ma inutilmente, un abbozzo di fuga.
Il sesto ed ultimo, Rollo, viene acciuffato sempre ad Acquaviva: ha una pallottola nella coscia e zoppica per le vie periferiche; notarlo è fin troppo facile. Quasi si arrende ai carabinieri. Anche lui raggiunge gli altri nel carcere di Bari. Vi sono stati condotti alle prime ore dell’alba quando ormai tutta la zona antistante la palazzina dei CC. è sgombra: fin verso l’una un migliaio di persone chiedeva infuriata vendetta: “Fateli uscire gli assassini; dateceli soltanto per cinque minuti, il tempo di massacrarli“.
A dichiararsi con più fermezza innocente è Pietroforte; senza scomporsi respinge ogni accusa. Ad ogni modo nella sua abitazione sono stati trovati i proiettili delle armi adoperate dai banditi e tre degli stessi rapinatori. Secondo gli inquirenti sarebbe stato addirittura lui ad organizzare il “colpo” poichè appare strano che pregiudicati leccesi si possano essere spinti così lontano senza la tranquillità di una “base”.
La parola definitiva spetta ad ogni modo alla magistratura che dovrà ora ricostruire processualmente tutti i particolari per ricavarne precise imputazioni che non lascino spazio a dubbi o perplessità.
Ma tutto questo interessa poco al piccolo Vito, alla sorella Anna ed alla mamma Maria; sanno soltanto che domani piangeranno per l’ultima volta sul viso freddo di Vincenzo. Al funerale ci saranno tutti: rappresentanti del governo, generali, autorità dell’intera regione; corone a non finire. Loro tre, stretti nello stordimento di un dolore ingiusto, si chiederanno da soli perché.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/03/1976, Federico Pirro, p. 1-14

La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/03/1976, p. 13
Ha fatto scalpore ad Acquaviva l’arresto di S. Pietroforte

Acquaviva, 23 marzo
La notizia dell’arresto del giovane Simone Vito Pietroforte, accusato sembra di concorso o di favoreggiamento nei riguardi degli autori della rapina alla Cassa Rurale di Santeramo, rapina che com’è noto è costata la vita al maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Ranieri, ha scosso la tranquilla vita cittadina. Simone Pietroforte è noto specialmente negli ambienti sportivi per essere il presidente dell'”Associazione sportiva calcio Acquaviva“. Passava per un giovane dinamico, esuberante, dotato di notevole spirito imprenditoriale.
Per aver perduto anni fa il padre e più recentemente la madre, essendo figlio unico viveva solo in una villetta di sua proprietà sulla via di Sammichele alla periferia della città, la villetta che sembra essere poi diventata il covo della banda. Era anche istitutore nel convitto “Cirillo” di Bari. non avendo problemi economici per la solidità patrimoniale ereditata dai suoi genitori, si concedeva hobbies piuttosto costosi. Amava le auto e le moto di grossa cilindrata. provenendo da una famiglia per bene, nulla faceva quindi pensare alla possibilità che potesse essere implicato in faccende così losche.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/03/1976, p. 13

La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/03/1976, Gianni Plantamura, p. 13
Oggi giornata di lutto cittadino

Santeramo rende omaggio all’eroico maresciallo Ranieri

La camera ardente allestita nell’aula consiliare del Comune è meta di pellegrinaggio di migliaia di persone – Stamane alle 10 i funerali – Garofani rossi sul luogo in cui cadde il valoroso sottufficiale

Santeramo in Colle, 23 marzo
Un vivo sgomento sembra essersi impadronito di una cittadina che ieri ha vissuto la più drammatica giornata della sua storia. Visi costernati, persone ancora incredule si aggirano per le strade di Santeramo cercando una spiegazione di una vicenda assurda, disumana. Quel cruento mezzogiorno di fuoco, quel pomeriggio carico di tensione, ciascun santermano se li porterà come ricordo per chissà quanto tempo.
Cinque garofani rossi sparsi a terra, nel punto in cui il valoroso maresciallo Ranieri è caduto nell’adempimento del suo dovere sono lì a sfidare il freddo, in via Ladislao. l passanti li guardano commossi, non senza provare un sentimento di rimorso. Si, perché lui, Vincenzo Ranieri, era sempre apparso come chi volesse ad ogni costo conciliare ogni situazione, evitando la maniera energica, per una innata quanto forte dose di signorilità, di gentilezza d’animo. Ma una divisa, oggi più che mai scomoda, relega in secondo piano certi atteggiamenti congeniti.
Sorridente fino a pochi minuti prima, quando dopo aver prelevato il figlio dalla nuova scuola elementare si era avviato verso il suo alloggio, al terzo piano dì una stabile di via Japigia, dove ha sede la stazione dei carabinieri. Aveva appena imboccato la strada ed ecco un ragazzo, a bordo di un motociclo, avviarsi verso la sua macchina e parlargli piuttosto concitatamente. Nessuna esitazione. Il tempo di far scendere dall’autovettura il figlio Vito, di appena sette anni, e di far salire a bordo Vito Difonzo, la guardia giurata in servizio di vigilanza presso la filiale del Banco di Napoli. Rapida inversione di marcia e a gran velocità verso la piazza centrale del Paese, luogo di appuntamento con la morte. Questione di pochi minuti. Poi la tragedia.
Non si è ancora spento l’eco dei secchi colpi che hanno scosso la quieta Santeramo: la gente si riversa per le strade ancora bagnate di sangue, si assiepa sotto l’ospedale, davanti alla Cassa Rurale, vicino alla caserma. Le notizie si accavallano, confuse, serpeggiando tra la folla. Pochi istanti dopo giungono al nosocomio anche i banditi, sanguinanti. La gente comincia a rumoreggiare, a far ressa, a inveire. Le forze dell’ordine nonostante siano state così duramente colpite, devono prodigarsi per difendere proprio chi è responsabile del crimine. Si chiede giustizia, non vendetta. E’ difficile contenere una reazione tanto spontanea. Lo schieramento di agenti è massiccio e serve a scongiurare il peggio. Solo nella tarda notte i delinquenti potranno essere trasferiti.
Questa la cronaca di una giornata che ha scosso in maniera vibrata il nostro paese laborioso, tranquillo. Per domani mercoledì è stata proclamata una giornata di lutto cittadino. I funerali avranno luogo alle dieci. Nella sala consiliare del Comune è stata allestita una camera ardente, meta di pellegrinaggio di migliaia di persone di ogni età, di ogni provenienza, di ogni estrazione sociale. E’ l’estremo omaggio di un popolo intero ad un suo figlio glorioso. A vegliare la salma, militi dell’Arma dai volti inflessibili dietro cui si nascondono cuori a pezzi.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/03/1976, Gianni Plantamura, p. 13

 

I funerali

La Gazzetta del Mezzogiorno del 25/03/1976, Federico Pirro, p. 7
Folla imponente ai funerali di Vincenzo Ranieri

L’addio di Santeramo al maresciallo “Buono”

Fra le autorità intervenute il comandante generale dei CC. gen. Mino – La salma tumulata nel cimitero di Palese – Intensa commozione per il comandante che aborriva i metodi duri (e non tutti gli davano ragione)

Funerali1-A

Dal nostro inviato Federico Pirro
Santeramo (Bari), 24 marzo
Su un cuscino di raso il berretto e la sciabola: poco più dietro la bara avvolta nel tricolore: è il corteo funebre del maresciallo Vincenzo Ranieri, ucciso lunedì scorso durante la rapina alla “Cassa rurale e artigiana” di Santeramo, che parte dalla sede municipale dove era stata allestita la camera ardente.
Intorno ai drappi viola si era raccolta la commossa meditazione di parenti, amici, conoscenti e delle autorità: a salutare “l’umile servitore dello Stato” sono giunti fra gli altri il comandante generale dei carabinieri gen. Mino, il sen. Cirielli, gli onorevoli Giannini e Tarsia Incuria, il prefetto doti. Di Caprio, il presidente dell’assemblea regionale prof. Tarricone, il presidente della Provincia prof. Mezzapesa, gli alti magistrati del distretto della Corte d’appello dott. Giancaspro, doti. De Felice, dott. Serrano, prof. Di Staso, dott. Marinaro, il gen. Dosi, il gen. Casarsa, il questore dott. Roma, sindaci e giunta di Santeramo e Gioia del Colle.
A decine le corone: del presidente della Repubblica sorretta da due corazzieri, dell’on. Moro, della presidenza dei Consiglio, dei ministeri della Difesa e degli Interni, degli organi regionali e via via sino aí boccioli delle compagne di scuola di Anna, la figlia 12enne dello sventurato maresciallo; quindi i gonfaloni di Santeramo, Altamura e Gioia del Colle.
Il corteo, preceduto da un picchetto d’onore dei CC., si incammina lentamente per via Roma fra due ali fitte di popolo ammutolito. Ed ecco piazza Garibaldi dove poco meno di 48 ore fa si é consumata la tragedia di Vincenzo Ranieri; a circa dieci metri dalla banca assalita dai banditi, è la chiesa di S. Erasmo dove mons. Natale, su delega dell’Arcivescovo, il cappellano generale dei carabinieri mons. lacovone ed il cappellano militare mons. Bochicchio hanno concelebrato il rito funebre.
Sul catafalco gli occhi erosi dal pianto di Anna Maria Guario, la moglie, ancora incredula. Le mani strette sulle braccia dei figli Anna e Vito. Il più piccolo, Vito che ha solo sette anni, si guarda intorno stordito da tanta gente: alla sua età non sa ancora piangere; questi momenti lo accompagneranno come un ricordo confuso sino a quando sentirà forte la voglia di lacrime. Anna, invece, è già in grado di capire perchè tutta quella folla è lì e si dispera non appena il suo sguardo incrocia quello della mamma o le compagne di scuola l’abbracciano.
Tra i fumi aspri dell’incenso, la bruna bara vegliata da carabinieri in alta uniforme, assume una dimensione emblematica, inquietante, sottolineata dalle parole di mons. Natale (“il sacrificio del nostro fratello, caduto nell’adempimento del suo dovere“) e dal silenzio anche delle migliaia di persone rimaste per necessità fuori del tempio. Una partecipazione che non è retorica, non è freddo formalismo: è desiderio di toccare con gli occhi, con la punta delle dita iI simbolo purtroppo tangibile di un impegno che si è spinto fino alla morte. Il lutto cittadino, una giornata segnata dal dolore e dalla riflessione, sono la risposta di una popolazione percossa dalla più drammatica delle smentite alle sciocche dicerie di mentalità retrive.
Vincenzo Ranieri è li, morto come si muore nelle motivazioni delle medaglie d’oro; e qualcuno, sino a pochi giorni fa. lo apostrofava perché non condivideva i suoi metodi aperti. “Sono controproducenti – si sforzava di far capire lo sventurato maresciallo – la folla quando si muove sotto la spinta della fame e della disoccupazione, va persuasa perché ha ragione“; ma c’era qualcuno che alla manifestazione di sciopero pretendeva che si usasse la sferza. Ancora critiche perché, se acciuffava qualche ladruncolo, non lo faceva picchiare come, secondo alcuni, si usava prima che assumesse lui il comando della stazione di Santeramo. “I tempi sono cambiati – rispondeva ai benpensanti – la violenza genera altra violenza; cerchiamo di capire questa nuova parola: disadattati, ed usiamo mezzi democratici“.
Ed ecco la rapina, lo scontro a fuoco, il proiettile mortale sparato da un mondo diverso da quello che lui, l’oscuro sottufficiale di provincia, stava lentamente plasmando fra mille ostacoli. Ed ora il silenzio attonito di una folla che ha trasformato in fiori ed abbracci agli orfani le vecchie perplessità, la riluttanza ad accettare una mentalità nuova, al passo con i tempi.
La cerimonia religiosa si è conclusa. La bara, portata a spalla dai colleghi della stazione santermana, viene deposta nell’auto che trasporterà Vincenzo a Palese, dove nacque 49 anni fa, per essere tumulata dopo la celebrazione di una messa.
Il malinconico corteo si allontana fra i saluti militari. “I generali – biascica quasi a se stesso un carabiniere – li vediamo soltanto quando qualcuno di noi rimane lì, stecchito. Perchè non vengono a vederci in quali condizioni lavoriamo?”. Uno sfogo che solo la rabbia del dolore indirizza alle “stellette“; in realtà è il grido di una categoria che dopo trent’anni di servizio si sfama con uno stipendio-base non superiore alle 120-130mila lire, che affronta la criminalità senza strutture adeguate, “usa ad obbedir tacendo e tacendo morir“. All’indomani di ogni eccidio la promessa di nuove indennità, e così fino alla prossima uccisione.
L’auto è ormai lontana, la folla quasi non vuole lasciare piazza Garibaldi: lì è caduto il maresciallo, lì l’ultima benedizione. Una sequenza che ormai fa parte della storia di Santeramo, fissa nel ricordo di tutti, anche di quanti non condividevano lo spirito democratico di questo comandante “troppo buono“. Ecco, proprio qui lasciò il figlio che aveva appena prelevato dalla scuola; carezzandolo sul volto gli disse di andare a casa con un suo compagno. “Torno più tardi“. La rapina attendeva la sua vittima. Li cominciò a correre verso i banditi, in quel punto, proprio di fronte alla macelleria, cadde. “Diamine – disse ansimando a chi lo soccorreva – io sono stato attento a non ammazzarli ed ora mi ritrovo con una pallottola“.
Piazza Garibaldi continua per mille bocche a ricordare quei momenti, a rivivere attraverso il sacrificio di Ranieri, un attimo di liberazione dalle cattiverie che noia ed ignoranza facevano germinare in mancanza di altro quando, a sera, bisogna pur parlare male di qualcuno, specie se è così diverso da noi.
Tutti riconciliati ora, tranquillizzati. Anche il “nostro” maresciallo è morto come si muore nelle motivazioni delle medaglie d’oro.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 25/03/1976, Federico Pirro, p. 7

La folla quando si muove sotto la spinta della fame e della disoccupazione, va persuasa perché ha ragione

L’anno successivo, in occasione del primo anniversario della morte del Maresciallo Ranieri, venne apposta una lapide all’inizio di Via Ladislao, su cui sono incise queste parole:

L’amministrazione comunale, memore dell’eroico sacrificio del Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, Medaglia d’Argento al Valor Militare, Vincenzo Ranieri, barbaramente ucciso da banditi in questo luogo il 22 marzo 1976 nel corso di una rapina alla locale Cassa Rurale ed Artigiana, pose a ricordo grato della cittadinanza. Santeramo in Colle, 22 maggio 1977

Lapide

Il processo e le prime condanne
La Gazzetta del Mezzogiorno del 20/12/1977, Antonio Del Giudice, p.14
Concluso il processo alla Corte d’Assise di Bari

Condannato all’ergastolo l’omicida di Santeramo

Assolto per insufficiena di prove Pietroforte, il presunto “basista” di Acquaviva – Riconosciuti colpevoli gli altri coimputati di Solazzo: 24 anni a Rollo e Martina, 10 anni a Calogiuri – Il p.m. ha annunciato appello contro la sentenza (emessa dopo oltre 4 ore di camera di consiglio)

Gaetano Solazzo, 29 anni, di Trepuzzi, ritenuto I’uccisore del maresciallo dei carabinieri Vincenzo Ranieri, durante la tragica rapina dell’anno scorso alla banca di Santeramo, è stato condannato all’ergastolo. Franco Rollo, 29 anni, di Cavallino, e Guido Martina, 24 anni, di Lecce, giudicati responsabili di concorso in omicidio aggravato, sono stati condannati a 24 anni di reclusione e a cinque di libertà vigilata. Angelo Calogiuri, 28 anni, di Lizzanello, autista della “banda dei leccesi“, è stato condannato a 10 anni di reclusione e a tre anni di libertà vigilata. Simone Pietroforte, 28 anni, di Acquaviva. imputato come “basasta“, è stato assolto per insufficienza dl prove dall’accusa di concorso in omicidio e in rapina e condannato ad un anno e sei :miei di reclusione (già scontati) per detenzione di armi: è stato scarcerato.
Con questa sentenza – che prevede altre pene accessorie, fra le quali l’interdizione perpetua dai pubblici uffici – si è concluso ieri davanti alla Corte d’assise di Bari (presidente dott. Stea, giudice a latere dott. Schiraldi, cancelliere Carmela Dongiovanni) il primo grado del processo per la rapina alla Cassa Rurale ed Artigiana di Santeramo, avvenuta nel marzo del ’78. Dopo dieci anni, un collegio giudicante presieduto dal dr. Stea, è tornato a pronunciare la parola “ergastolo“: l’ultima volta era successo nel ’67 contro Benito Esposito, accusato di aver ucciso Francesca Montrone. (La sentenza era stata riformata in appello con una assoluzione per insufficienza di prove).
Per Solazzo la corte ha accolto le richieste del pubblico ministero dott. Ciccarelli, che aveva proposto anche 18 mesi di isolamento. Per gli altri imputati, il p.m.. ha annunciato appello non ritenendo le pene adeguate alla gravità dei reati. Per Rollo aveva chiesto complessivamente 25 anni di reclusione (16 per il concorso in omicidio); per Martina 23 anni e 10 mesi (16 per il concorso in omicidio): la corte ha deciso per 24 anni ciascuno. La differenza non è molta, ma la pubblica accusa ritiene che l’applicazione della continuazione del reato (prevista dall’articolo 81 del codice penale) possa aprire la strada in appello ad una notevole riduzione della pena, anche perchè la difesa dispone ancora dello strumento delle attenuanti non concesse in primo grado. Per Calogiuri, il p.m. aveva chiesto 22 anni e 10 mesi complessivi: la corte ne ha irrogati 10, concedendo le attenuanti generiche e quelle specifiche della minima partecipazione al fatto (art. 114) e dell’evento criminoso superiore alla volontà del reo (art. 116).
Rimane Simone Pietroforte. L’accusa aveva sostenuto la sua completa corresponsabilità nella rapina e nell’omicidio, essendosi convinto del suo ruolo di “basista” e di partecipante all’organizzazione: dalla sua villa di Acquaviva sarebbero partiti i rapinatori, usando la sua auto, per farvi ritorno dopo il colpo alla banca. Per questi motivi, il dott. Ciccarelli aveva chiesto per lui complessivamente 24 anni e 10 mesi di reclusione.
La posizione processuale più incerta – lo abbiamo detto anche in altra circostanza – era la sua, basata innanzitutto su testimonianze, non sempre concordi: il p.m. le aveva ritenute sufficienti per acquisire la prova di colpevolezza; la difesa, per accreditare quella della completa estraneità ai fatti. E il dibattimento s’è concluso ieri mattina con l’arringa dell’avvocato De Marsico (che insieme agli avvocati Colamonico e De Pascale. ha difeso Pietroforte). De Marsico, con una discussione in fatto, durata quasi un’ora e mezzo, ha sostenuto l’innocenza del suo assistito, e vittima – ha detto – di una macchinazione e, definendo le testimonianze “prove solari dell’estraneità” del Pietroforte, ed escludendo che una corte possa “condannare un’uomo a 24 anni dt carcere senza avere una prova di colpevolezza“. Il difensore ha quindi concluso chiedendo per Pietroforte l’assoluzione “per non aver commesso il fatto“.
La corte ha in parte accolto le sue tesi, decidendo – come già detto – per un’assoluzione con formula dubitativa, e condannando l’imputato per il fucile e alcuni bossoli trovati nella sua villa di Acquaviva.
La corte ha deciso nel modo che abbiamo riferito. Come ci sia arrivata, sarà possibile rilevarlo solo leggendo le motivazioni della sentenza che verranno depositate nei prossimi giorni. Contro il verdetto è possibile che sí associno in appello, già annunciato dal p.m. le parti civili: la vedova del mar. Ranieri, Maria Guario (assistita dall’avv. Mitolo), i figli (avv. Tarsia Incuria), la banca rapinata (avv. Larato). i panettieri sequestrati da Solazzo durante la fuga, l fratelli Digiorgio (avv. Maggipinto). Per motivi opposti, ovviamente, si appelleranno i difensori di Solazzo (avv. Lombardo Pijola), di Martina (avv. Aymone e Corleto), di Rollo (avv. Gironda e Gullo), di Calogiuri (avv. Sammarco).
La sentenza – emessa dopo oltre quattro ore di camera di consiglio – è stata accolta con una certa sorpresa dal pubblico: non erano molti coloro che credevano in una decisione di ergastolo ed in una assoluzione, sia pure con formula dubitativa. Gli imputati l’hanno ascoltata senza evidenti segni di emozione; qualcuno ha accennato ad un sorriso di scherno, o forse di rabbia. Solazzo (che prima che la corte si ritirasse si era alzato in piedi per dire “che Dio abbia pietà di me“) ha invitato i carabinieri ad accompagnarlo fuori dall’aula, quanto prima.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 20/12/1977, Antonio Del Giudice, p.14

In una delle sedute del Consiglio Comunale, nel gennaio 1980 vennero definiti i nomi di 44 nuove strade, tra cui una via dedicata a Vincenzo Ranieri.
Nel maggio 1980 la sede della Cassa Rurale e Artigiana di Santeramo venne spostata verso il Palazzo Di Santo di via Tirolo 2, che tutt’oggi costituisce la sede centrale.

Il processo d’appello
La Gazzetta del Mezzogiorno del 09/08/1980, p. 7
Per ordine della Magistratura barese

Arrestato il professore della rapina di Santeramo

Un professore di lettere, Simone Vito Pietroforte, di 31 anni, di Acquaviva delle Fonti, è stato arrestato da agenti della squadra mobile barese in esecuzione di un ordine di carcerazione della procura generale della Repubblica di Bari, dovendo scontare 16 anni e sei mesi di reclusione. Pietroforte, che per un periodo é stato anche sindaco di Acquaviva delle Fonti, era stato processato e riconosciuto, in appello, colpevole di concorso morale nell’omicidio del maresciallo dei carabinieri Vincenzo Ranieri, ucciso in un conflitto a fuoco con alcuni rapinatori a Santeramo in Colle nel 1976. Secondo l’accusa, avrebbe ospitato, subito dopo il colpo alla banca, alcuni rapinatori nella sua villa.
Simone Vito Pietroforte aveva ospitato nella sua abitazione di Acquaviva delle Fonti i malfattori, attualmente in carcere. prima e dopo la rapina. Nel processo di primo grado Pietroforte fu assolto; in quello di appello fu condannato a 16 anni e sei mesi di reclusione, pena che la Corte di Cassazione ha confermato. Con l’arresto di Pietroforte si è cosi conclusa, poco oltre quattro anni, l’inchiesta sull’uccisione del sottufficiale.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 09/08/1980, p. 7

La commemorazione del 40° anniversario

In occasione dei 40 anni da quei tragici giorni si svolgerà una messa in suffragio e un incontro organizzato dal Lions Club a cui parteciperanno la vedova Maria Guario e il figlio Vito Ranieri.

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La Gazzetta del Mezzogiorno del 26/04/2016, La Gazzetta di Bari e Provincia, Anna Larato
Santeramo, venerdì alle 17,30 la commemorazione in Chiesa Madre. Era il comandante della stazione dei carabinieri

Una messa per il maresciallo Ranieri
Il sottufficiale dell’Arma fu assassinato 40 anni fa dai rapínatorí che avevano assaltato una banca

SANTERAMO. Una messa e una targa commemorativa per ricordare il sacrificio del maresciallo Vincenzo Ranieri. Sarà celebrato così il 40esimo anniversario del barbaro assassinio di Vincenzo Ranieri, comandante della stazione dei Carabinieri di Santeramo, morto in servizio il 22 marzo 1976 per sventare una rapina all’allora Cassa rurale e artigiana di Santeramo, ubicata in Piazza Garibaldi.
Venerdì prossimo, 29 aprile, alle 17,30 in Chiesa Madre, sarà celebrata la messa. Subito dopo, verrà apposta una targa commemorativa in via Ladislao, dove il sottufficiale dell’Arma morì per mano di uno dei rapinatori. A seguire, i discorsi delle autorità.
Così l’Arma dei Carabinieri descrive l’accaduto: “Vincenzo Ranieri, comandante di stazione distaccata, allertato da una segnalazione, accorre con un suo commilitone presso la sede di un’agenzia bancaria, dove sorprende due malviventi che stanno tentando la fuga dopo una rapina. Nonostante i malfattori esplodano numerosi colpi d’arma da fuoco per assicurarsi la fuga, il militare dell’Arma si getta all’inseguimento, rispondendo ai colpi e ferendo entrambi. Sarà un terzo rapinatore, uscito per ultimo dalla banca, a colpirlo mortalmente alle spalle. Alla memoria del carabiniere verrà assegnata la medaglia d’argento al valor militare“, recita il testo ufficiale.
Alla cerimonia interverranno, tra gli altri: Camilla Robert, presidente del Lions Club Santeramo; il maggiore Nicola Abbasciano, comandante della compagnia dei Carabinieri di Altamura; il colonnello Vincenzo Molinese, comandante provinciale di Bari; il sindaco Michele D’Ambrosio; il presidente della Banca di credito cooperativo, Costante Leone. Ospiti d’onore Maria Guario, vedova del maresciallo Ranieri, e il figlio Vito Ranieri.
A organizzare la pubblica iniziativa il Lions Club di Santeramo: “Per ricordare quella brutta pagina di storia della nostra città, per non dimenticare il triste accaduto e promuovere la figura del maresciallo Ranieri – spiega Camilla Robert – per tutti e in particolare per le nuove generazioni come modello di integrità morale e professionale, invito i santermani a partecipare“.
Dice il figlio, Vito Panieri: “Per tutta la mia famiglia è sempre stato difficile affrontare gli eventi di commemorazione dedicati a mio padre. Il dolore, come conoscono tutti quelli che vivono il lutto di una persona cara, non si affievolisce con il tempo. Impariamo forse a conviverci, a volte esempio e spesso assenza – afferma – ma non possiamo rimuoverlo. Il 29 aprile sarà comunque la migliore occasione per condividere il ricordo di una giornata tragica ed eroica con chi l’ha vissuta e sofferta insieme a noi 40 anni fa. Ringraziamo gli organizzatori e tutte le persone che nel corso di questi anni ci hanno manifestato solidarietà e affetto e continuano a ricordare nostro padre come un uomo generoso, un marito e padre amorevole e un carabiniere con il più alto senso del dovere e del sacrificio“.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 26/04/2016, La Gazzetta di Bari e Provincia, Anna Larato

Ringrazio Giovanni Digiorgio per la sua testimonianza telefonica a 40 anni da allora e la figlia Pamela Digiorgio per avermi messo in contatto con suo padre. Ringrazio Raffaele Bongallino per avermi fornito la copia di Partecipare dedicata al tragico evento.

Fonti consultate

La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, Federico Pirro, p. 1-2
La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, Michele Cristallo, p. 1-2
La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, p. 2
La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/03/1976, p. 2
La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/03/1976, Federico Pirro, p. 1-14
La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/03/1976, p. 13
La Gazzetta del Mezzogiorno del 25/03/1976, Federico Pirro, p. 7
La Gazzetta del Mezzogiorno del 20/12/1977, Antonio Del Giudice, p.14
La Gazzetta del Mezzogiorno del 09/08/1980, p. 7
Partecipare, n. 29, Santeramo in Colle, aprile 1976
La Gazzetta del Mezzogiorno del 26/04/2016, La Gazzetta di Bari e Provincia, Anna Larato
Per non dimenticare, Carabinieri.it, marzo 2016
Commemorazione 40° anniversario della morte del M.llo Vincenzo Ranieri, Evento Facebook
Sei di Santeramo se…, Gruppo Facebook
Foto Storiche di Santeramo, Gruppo Facebook

Una risposta a “Vincenzo Ranieri, il maresciallo buono”

  1. Una esemplare ricostruzione degli avvenimenti attraverso fonti giornalistiche e testimonianze dirette. Un tragico avvenimento rivissuto con patos e partecipazione da un giovaner “ricercatore” che in breve tempo ha saputo collegare le varie fonti. Ancora un “bravo” al giovane Filippo.

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