Uccise il marito per amore del cognato

Partiamo da lontano, una premessa necessaria quando arriveremo alla conclusione. Un tale Giovanni Donato Scaramuzzi dovrebbe essere nato a Santeramo intorno al 1873. Aveva raggiunto una ragguardevole età, circa sessantenne ebbe un’ultima figlia intorno al 1933, che chiamò Rosa Scaramuzzi.

L’adolescenza è un periodo molto particolare per la vita di una persona. E’ il periodo dall’infanzia all’età adulta, un periodo tumultuoso e pieno di sentimenti che possono arrivare agli estremi. Capitava che una famiglia decideva di far sposare un proprio figlio ancora minorenne, spinta da varie ragioni che potevano essere varie.
Nulla toglie che quando Rosa Scaramuzzi si sposò aveva circa 15 anni mentre suo marito, Francesco Perniola, ne aveva 26. Tra Rosa e Francesco le cose all’apparenza sembravano andare bene.

Negli articoli originali, qualche dato viene poi rettificato. Nella mia trascrizione ho deciso di cambiare le info errate scrivendo direttamente quelle che ritengo siano corrette indicandole in grigio.

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S’indaga a Santeramo su un misterioso fatto di sangue

Santeramo. 17 settembre.

Un grave fatto di sangue è accaduto alla periferia del paese in circostanze misteriose. L’agricoltore Francesco Perniola di Angelo Raffaele Perniola di anni 28 è stato rinvenuto cadavere nella propria abitazione, colpito a bruciapelo da scarica di fucile da caccia alla tempia destra. Subito dopo la detonazione, la moglie Rosa Scaramuzzi di anni 16 dava l’allarme. Si scopriva il corpo esanime del giovane, riverso sul letto parzialmente macchiato di sangue con accanto il fucile. L’autorità giudiziaria non si è pronunciata in merito al suicidio, come in un primo tempo si era prospettato, essendo successivamente emersi alcuni dubbi sulla causa della morte. Infatti non è da escludere che il giovane sia stato assassinato durante il riposo pomeridiano, poiché, dopo le indagini del comandante interinale dell’arma brigadiere Felice Ghionda l’ipotesi, se non la certezza, è affiorata per avvalorare l’omicidio. Le indagini continuano e si spera di riuscire al più presto a stabilire le cause del delitto; scoperte queste sarà più facile risalire ai colpevoli.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno, 18/09/1949, p. 5

La vittima ventottenne, Francesco Perniola, aveva un fratello più piccolo, Nicola Perniola, che ha avuto un ruolo decisivo in questo delitto.

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La fosca tragedia di Santeramo
Il Perniola fu ucciso dalla moglie sedicenne, diventata l’amante del cognato

Santeramo, 19 settembre.

Sulla fosca tragedia in cui trovò la morte l’agricoltore Francesco Perniola di anni 28 si apprende che la moglie Rosa Scaramuzzi di Giovanni Scaramuzzi, di anni 16, dopo un lungo ed estenuante interrogatorio, ha confessato il proprio delitto. Ecco i particolari che hanno portato all’uxoricidio. La Scaramuzzi, sposatasi nel 1947 col Perniola, divenne, dopo alcuni mesi di matrimonio, l’amante del cognato Nicola Perniola. Francesco Perniola ignorava l’esistenza della relazione tra la moglie e il fratello, tanto che nei due anni di matrimonio, mai aveva fatto scenate alla moglie per gelosia. I due amanti continuavano la tresca, più volte disturbati dalla presenza del marito e dei parenti, fino a che decidevano, dal giugno scorso, di sopprimere Francesco Perniola, unico intralcio ai loro sogni. Avrebbero simulato un suicidio e si tennero pronti per l’occasione. L’altro giorno dopo una mattinata faticosa, Francesco e Rosa si adagiarono nel letto per il riposo pomeridiano. Poco dopo, essa si levò e, pensando che l’occasione si presentava a propizia in quanto il marito dormiva profondamente, brandiva il fucile da caccia, che trovavasi nell’armadio, caricava l’arma di una cartuccia, fornitale nel giugno scorso dall’amante e dirigeva la canna alla tempia destra del marito che dormiva, e sparava a bruciapelo. Il colpo fu letale. Essa usciva dalla camera, si dirigeva nell’orto attiguo alla casa e vi ritornava poco dopo per porre il fucile al fianco dell’ucciso, onde simulare un suicidio. Dopodiché uscì e dette l’allarme. L’Arma Benemerita ha arrestato i colpevoli.
La donna avrebbe agito da succube, sotto il dominio della volontà del cognato Nicola, il quale sconvolto da una patologica forma di gelosia, pare abbia preteso dalla Scaramuzzi la soppressione del marito, suo fratello di sangue.

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno, 20/09/1949, p. 5

Aggiungo una considerazione su quel periodo. Al di là dello scandalo che si sarebbe generato se Rosa avesse deciso di lasciare il marito Francesco, dal punto di vista legale non avrebbe potuto sposare Nicola in quanto in Italia non vi era ancora una legge sul divorzio, entrata in vigore 35 anni, dopo del 1970.
Sia Rosa Scaramuzzi che Nicola Perniola vennero processati.

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Corte d’Assise di Bari
L’uxoricida quindicenne di Santeramo inviata al manicomio
Uccise il marito per amore del cognato

Ieri, dinanzi alla Corte d’Assise di Bari, si iniziò il dibattimento del processo contro Rosa Scaramuzzi di Donato Scaramuzzi, diciassettenne, da Santeramo in Colle, imputata di omicidio volontario premeditato in persona del marito Francesco Perniola di Angelo Raffaele Perniola, nato nel 1921, agricoltore, e contro Nicola Perniola, fratello dell’ucciso, diciannovenne, imputato di concorso in detto delitto per avere istigata la Scaramuzzi a commetterlo e per aver dato alla cognata la cartuccia omicida. La Scaramuzzi nel 1948 ancora quindicenne, sposava Francesco Perniola ma ben presto si innamorava del cognato, con il quale decideva di sopprimere il coniuge; nelle prime ore pomeridiane del 14 settembre 1949, la Scaramuzzi mentre il marito dormiva, gli tirava un colpo di fucile (la cartuccia, come abbiamo già detto, lei era stata data dal cognato) alla tempia destra, uccidendolo istantaneamente. Per inscenare il suicidio, la Scaramuzzi, rientrata nella camera, dopo essersi fatta notare sull’aia antistante, poggiava l’arma vicino al cadavere del marito e poi invocava aiuto. Soltanto dopo due giorni di permanenza nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri, la ragazza confessava, precisando anche da responsabilità del cognato Nicola. Nell’interrogatorio reso, la Scaramuzzi confermava quanto aveva dichiarato ai carabinieri e al Pretore di Santeramo, in parte smentita da Nicola Perniola.
L’avv. prof. De Marsico, esibendo un certificato dell’alienista [medico specialista di malattie mentali, NdR] dott. N. Tritto, chiedeva che la Corte ordinasse una perizia psichiatrica per stabilire la volontà di volere ed intendere della Scaramuzzi al momento in cui commise il fatto, dimostrando essere la stessa un soggetto frenastenico, essendo stata procreata a 60 anni da un genitore alcolizzato; l’avv. Malcangi, difensore di Nicola Perniola, aderiva alla richiesta, contrastata dal P.M. dott. Ferrara, il quale affermava doversi citare il dott. Masellis, sanitario delle carceri, e la superiora addetta al reparto femminile, suor Anna Michelina Gramegna, per confermare quanto essi avevano detto al dott. Tritto nei riguardi della Scaramuzzi e per precisare ciò che avevano notato nella Scaramuzzi, durante la sua permanenza nel carcere. La Corte, alle 14, emetteva ordinanza con la quale decideva l’internamento della Scaramuzzi in un manicomio giudiziario, per essere sottoposta a perizia, rinviando il dibattimento a nuovo ruolo. Il numeroso e irrequieto pubblico (invitato più volte dal Presidente a mantenere un contegno corretto) abbandonava l’aula fra i più disparati commenti, mentre la madre dell’ucciso e di Nicola Perniola, urlava disperatamente.
(Pres. Grilli; cons. a latere Savarese, canc. Pappadà).

tratto e adattato da La Gazzetta del Mezzogiorno, 02/02/1950, p. 6

Il modo di svolgere i processi a metà del ventesimo secolo si è evoluto rispetto a 50 anni prima. Vediamo quindi il coinvolgimento di medici specialisti di malattie mentali che devono valutare lo stato psichico, stato che assume un valore per la determinazione della pena. La difesa cercò di dimostrare che Rosa Scaramuzzi soffriva di un deficit dello sviluppo psichico, avvalorando ciò dal fatto che lei era nata da un padre ormai sessantenne e in non perfette condizioni di salute, facendo riferimento al suo alcolismo. Ho provato a cercare l’atto di nascita di Giovanni Donato Scaramuzzi senza trovarlo. L’unico “Giovanni” nato in quel periodo si chiamava Giovanni Vito Scaramuzzi nato proprio nel 1873 ma non ho altri elementi per dire che fosse lui in realtà.
Questo ultimo articolo dimostra come venga rinviata la sentenza per poter valutare meglio le condizioni mentali dell’assassina.

A Santeramo si è continuato a raccontare la vicenda. Sul gruppo Facebook “Sei di Santeramo se…” ho ricevuto diversi commenti che integrano quanto scritto finora. Una volta terminato il periodo di detenzione Rosa Scaramuzzi si trasferì al nord Italia dove poter iniziare una nuova vita, a Como. Le volte in cui è tornata a Santeramo non mancava di recarsi sulla tomba del marito.

Non sono riuscito a trovare altre notizie su questa vicenda di oltre settant’anni fa.

Fonti consultate

La Gazzetta del Mezzogiorno, 18/09/1949, p. 5
La Gazzetta del Mezzogiorno, 20/09/1949, p. 5
La Gazzetta del Mezzogiorno, 02/02/1950, p. 6

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