Padre Stefano Sette – Parte 3 – Fuga in una bara

Era passata meno di una settimana da quando giunse la notizia degli eccidi degli occidentali in Cina e della morte di Padre Stefano Sette quando ci fu un colpo di scena. I quotidiani pubblicaronola notizia secondo la quale Padre Stefano riuscì a salvarsi in un’incredibile fuga percorrendo 700 chilometri in 17 giorni, parte dei quali trascorsi in una bara fingendosi morto! Trascrivo di seguito quanto riportato da alcuni quotidiani ed infine l’incredibile testimonianza scritta proprio da Padre Stefano in una lettera scritta a sua madre.

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Il romanzesco salvataggio di un prete italiano

Ci telegrafano da Londra, 27, ore 8,45:
Il prete italiano don Stefano Sette, giunto ad Hong Kong da Hencienfu, nell’Hunan meridionale, racconta che il 4 di luglio i convertiti lo avvertirono che la casa del vescovo era stata incendiata e che il vescono Antonio Fantosati e tre frati erano stati trucidati fra torture orribili.
Seicento o settecento cristiani e indigeni furono massacrati. Le donne, sottoposte ad odiosi oltraggi. Altri sei preti fuggirono sulle montagne, ovo probabilmente vennero uccisi. Il prete superstite pure fuggì sulla montagna. Dopo tre giorni un cinese amico gli portò una bara, entro la quale il prete fu trasportato sul fiume a bordo di un battello. L’equipaggio aprì la bara, cercando bottino; scoperse l’inganno, ma accondiscese a portare il prete a Canton contro un forte compenso. Il viaggio durò diciassette giorni, che il prete dovette passare nella bara, i battellieri temendo che gli abitanti scoprissero che conducevano uno straniero.

tratto e adattato dal “La Stampa” di venerdì 27/07/1900, p.3

Il Padre Stefano Sette è salvo!

Abbiamo l’altro ieri pubblicato alcuni cenni necrologici sul padre Stefano Sette da Santeramo , massacrato in Cina.
Ora un telegramma ci annunzia che il padre Stefano Sette è riuscito miracolosamente a salvarsi.
Ecco in che modo veramente romanzesco, il giovine frate riuscì a scamparla; così racconta il Daily Express di Londra, che riceve il telegramma da Hong Kong, 26:

Un prete italiano è arrivato da Hen-siem-fu (Hu-nan meridionale) ove il 4 furono assassinati il vescovo e tre missionari. Dopo torture terribili, 600 o 700 cristiani indigeni furono massacrati. Le donne furono sottoposte ai più odiosi oltraggi. Altri sei preti fuggirono sulle montagne; ove probabilmente vennero uccisi. Un prete superstite pure fuggì nelle montagne.
Dopo tre giorni un cinese suo amico gli portò una bara, entro la quale il prete fu trasportato sul fiume, a bordo di un battello; l’equipaggio aprì la bara cercando il bottino, e scoperse l’inganno, ma accondiscese a portare il prete a Canton, contro un forte compenso. Il viaggio durò 17 giorni, che il prete dovette passare nella bara, i battellieri temendo che gli abitanti scoprissero che conducevano uno straniero.
A Canton il padre Stefano potè finalmente imbarcarsi su di un piroscafo europeo, che lo trasportò al prossimo possedimento inglese di Hong Kong.
Egli dice che tutta la provincia del Hu-nan è piombata nell’anarchia.

Noi, data la veridicità della notizia, giacchè tutte le notizie cinesi e date specialmente da quel giornale vanno messe in quarantena, vivamente ci compiaciamo per lo scampato pericolo del nostro comprovinciale.

tratto e adattato dal “Corriere delle Puglie” del 29/07/1900, p. 2

P.STEFANO SETTE DA SANTERAMO
LE SUE PERIPEZIE IN CINA

Lo scoppio della rivolta – Contro i Cristiani – incendii e massacri – La fuga da Nan-Scian – Tre giorni in una barca – Il coraggio di un cristiano indigeno – La fuga in una bara – Il finto morto – L’arrivo a Lien-Cion – Le pretese di un capitano – Come fu punito – 50 colpi di bambou – L’arrivo a Hong-Kong – Salvo!
I lettori del Corriere ricorderanno come, mentre più in Cina ferveva la rivolta, pubblicammo la notizia della morte e poi della romanzesca fuga in una bara di un nostro comprovinciale, il Padre Stefano Sette da Santeramo.
Siamo oggi lieti di poter pubblicare una lettera che Padre Stefano da Han-Kow dirige alla madre, signora Raffaella Di Santo, in Santeramo, nella quale lettera egli narra tutte le peripezie occorsegli e come ebbe salva la vita, mentre più infuriava il terrore dei boxers, che egli chiama pagani.
Il Padre Stefano Sette ci perdonerà se violando un suo desiderio, noi pubblichiamo questa lettera, che non era destinata alla pubblicità. Eccola:

Han-Kow 8 ottobre 1900
Mia cara Madre,
Dopo le notizie contraddittorie che ho letto a mio riguardo sui giornali, del martirio, cioè, e poi della tentata e riuscita fuga nel Quanton, notizie contraddittorie o disparate, a causa dei corrispondenti dalla fervida fantasia, cui piace la creazione e l’alterazione dei fatti, ho creduto opportuno, anzi necessario, farvi giungere una mia allo scopo d’assicurarvi che son pur vivo, grazie a Dio, e mettervi a parte di quanto v’ha di vero nelle circostanze che accompagnarono la mia fuga, e che alterate furono pubblicate nei fogli.
Come vedete, bisogna incominciare la narrazione da principio.
Il 4 luglio, dunque, senza poter prevedere che improvvisa sarebbe scoppiata e furibonda la persecuzione contro i Missionari e Cristiani del Vicariato (Hew-van Merid.); ignaro delle nuove di Pechino, per mancanza di corrispondenze da Han-Kow, luogo da dove pervengono lettere e qualche giornale nell’interno, quel giorno appunto segnò il principio del massacro e della distruzione completa del Vicariato. Infatti, sedevo a mensa, quando un Cristiano, fuggendo dalla vicina città, veniva ad avvertirmi qualmente un forte numero di Pagani, irrompendo dal Cai (città), nella Cristianità vicinissima di Sin-ngai-tan, avea con inaudito furore incendiato la Chiesa, la Residenza ed atterrate le case dei Cristiani. Il Padre indigene per fortuna erasi messo in salvo con la fuga. Di là poi passando alla prossima residenza del Vescovo, vi avevano portato il medesimo terrore. Un padre europeo era stato ucciso e barbaramente arso, un altro ferito nella testa e messo in salvo da un Cristiano che, atteggiatosi a pagano, lo aveva chiesto all’orda tumultuante, per finirlo solo, come suol dirsi. Aggiungeva che nella sera forse sarebbero venuti nella Cristianità di Nan-scian, distante dal Cai non più di due chilometri. Per buona ventura gli altri Padri della residenza del Vescovo poterono fuggire, ed Egli che poi lo sentirete massacrato con altro padre, trovavasi fuori in santa visita.
In tale angustia di tempo e di circostanze, non feci altro che sorgere subito dalla mensa, e dopo aver riflettuto un pochino sul da farsi, corro nella mia chiesa, per consumare le S. Specie Eucaristiche, e toglierle così all’indegno e sacrilego abuso che potean farne i pagani. Poi considerando che, non ancora sufficientemente istruito nella lingua ed affatto ignaro delle vie, sarei stato in pericolo anche fuggendo, determinai d’aspettarli in Chiesa, pregando, dove giunti m’avrebbero massacrato ed arso con essa. Ma così non parve ai buoni cristiani di Nan-scian! Uno di essi specialmente introdottosi, me ne trasse fuori a viva forza, conducendomi nella casa d’una povera vecchia cristiana, nascosta e direi quasi irreperibile. Ma i pagani sembravano d’aver noverate una per una le case dei cristiani! Per la qual cosa coloro che vegliavano alla mia salvezza, preparata nel vicino fiume una piccola nave d’un fedele della mia Cristianità, passata la mezzanotte, vennero dove io era, armati di bastone, e scortato da essi passai in quella. Quivi stetti 3 giorni, nascosto, senza potermi muovere, in mezzo ad una infinità di navi dei pagani, e solo la notte a prora o in poppa respiravo un poco d’aria libera.
Ma anche questo rifugio sembrò piricoloso ai miei Cristiani. Quindi la terza notte alcuni di essi, armati al solito, vennero e mi condussero in un monte lontano di là circa 28 chilometri, in una casa di Cristiani. Non era ancora giunto quivi, che i circostanti pagani, non saprei come, erano già consapevoli del mio arrivo. Tuttavia entrai e mi nascosi nella soffitta.

Mons. Antonino Fantosati e compagni martiri in Cina tra cui 7 Suore Francescane Missionarie di Maria. Roma - Basilica di Sant'Antonio da Padova all'Esquilino - sec. XX
Mons. Antonino Fantosati e compagni martiri in Cina tra cui 7 Suore Francescane Missionarie di Maria. Roma – Basilica di Sant’Antonio da Padova all’Esquilino – sec. XX

Per la via intanto avevo appreso dai Cristiani come la persecuzione, anzichè cessare, infierisse; che i Mandarini stessi la fomentassero e che il capo di loro, fatto consapevole che il Vescovo accompagnato da un altro Padre, tornava dalla visita, mandò tosto alcuni pagani per farli uccidere, e così quei cannibali, andati loro incontro, e presili dalla barca, li trucidarono in un modo raccapricciante! Seppi la distruzione degli altri luoghi della S. Infanzia, del Seminario, di Peiscian ecc…
Io intanto come dissi, era nascosto sul monte, nella soffitta d’una casa Cristiana. La seconda notte che fu l’ultima di quella dimora disagiata e piena di pericoli, mi occorse un fatto che dimostrommi ad evidenza come in Signore mi voleva ad ogni costo in vita, solo contento della buona volontà con cui fin dai primi momenti della persecuzione gli avea offerto il sacrificio di tutto me stesso, in isconto dei miei peccati e nella speranza che mi avrebbe concessa la vera vita che è in Lui. Imperocchè verso la mezzanotte alcuni pagani eransi introdotti nella casa in cerca di me, ed a quale scopo s’intende: ma mentre dal mio servo era avvisato di questo, una voce che io ben conosceva, m’invitava a fuggire seguendolo. Era un Cristiano della vicina città! Non frapposi dimora, ma subito scendendo dalla soffitta dietro lui, ne uscii per una porticina segreta, e giù frettolosi per la discesa del monte. Ma come quel Cristiano in quel luogo ed a quell’ora? Dove voleva condurmi?… Ecco quanto rimane a dirvi!
I Cristiani del Cai (città) sapevano la mia triste condizione; e pure, premurosi della mia vita, aveano pensato a salvarmi con la fuga nel Quanton. Pensando al rispetto eccessivo che i Cinesi pagani hanno per un morto, e considerando dall’altra parte i molti pericoli delle città che avrei passate nel lungo viaggio, credettero d’ovviare a questi e raggiungere l’intento, col prepararmi una specie di bara, coperta di un vecchio panno, leggiera, perchè fatta di canne di bambou; nella quale dover giacere, fingendomi morto, durante il viaggio pedestre, fino ai confini della Provincia; dove per il fiume, avrei potuto continuare il viaggio in nave cinese, sino alla capitale del Quanton, e di là ad Hong Kong, possedimento inglese, in una nave europea.
Così preparate le cose, ed all’uopo scelti 4 pagani e 4 cristiani che dovevano per turno sottentrare al peso della bara, i quali io avrei rinumerati a lavoro compiuto, sul far della sera eransi avviati alla mia volta. Giunti al piede del monte, 6 aspettarono quivi con la bara, un Cristiano s’inoltrò sopra per scorta, e l’altro giunse propizio in quel momento critico per farmi discendere. Il Signore mi campava così al manifesto pericolo!
Arrivati intanto al luogo dove gli altri attendevano col capo fasciato fino agli occhi, e deposte le vesti che portava, e vestito da povero, per non dare sospetto in ogni eventualità, mi misi nella bara, e verso le due antim. s’incominciò il viaggio. Dire le sofferenze e gl’incomodi che dovetti sostenere, narrare i singoli accidenti occorsimi, sarebbe cosa lunghissima, anche perchè converrebbe diffondermi in descrizioni degli usi cinesi per intenderli.
Mi limiterò solo a dire che il viaggio pedestre durò 7 giorni e quello in nave 8, con un percorso di 700 chilometri in circa. Più volte i pagani delle città che ci convenne passare ebbero il sospetto di qualche inganno; ma il Signore non permise mai che si decidessero di vedere ed osservare.
Il giorno si camminava sempre, e la notte si passava nelle luridissime locande cinesi, nel qual tempo solo m’era dato di poter soddisfare alle necessità naturali, alzandomi cautamente, quando tutti dormivano, e sempre all’oscuro. Si mangiava qualche uovo sodo e qualche frutta; nel giorno (sempre quando non si vedea venir gente e disteso in bara), si bevea dell’acqua dei fossi. Eppure con tante privazioni, non ho sofferto mai pel viaggio il minimo dolor di capo, nè sentiva debolezza. Così si durò per 7 giorni fino a Lien-cion, dove entrai in nave. Ma chi avrebbe creduto che quando sperava d’esser giunto alla fine dei timori e delle privazioni, dovea essere invece al principio? Infatti entrato in barca con due Cristiani (gli altri li avea rimandato indietro con la bara) il padrone della barca con il fratello incominciò a gridare al tradimento, perchè fra 3 persone convenute di portare in Quanton, v’era un europeo, senza esserne preavvisato. A farlo quetare si dovette pagare per me il doppio della somma. Ma il giorno dopo, non contento di quella, chiedeva ancor denaro, con la minaccia di buttarmi in fiume in caso contrario. A farla breve, continuando così, in 3 giorni, mi avea preso 56 dollari (130 lire circa). Non ancora contento, pretendeva altre 900 lire e sempre con la medesima minaccia. Allora lo feci rispondere per uno dei Cristiani che se voleva gittarmi nel fiume era bene padrone, se invece mi conduceva nel Quanton avrebbe ricevuto la somma chiesta, (ed il Cristiano, mentendo, disse che avrebbe avuto la somma da un mio fratello ch’era il più ricco commerciante europeo della Capitale!)
Io infatti pensava di poter ricevere il denaro dal Vicario Apost. del luogo. Vi credette il nocchiero, e giunti in Quan-cion andammo dal Vescovo, poi dal Console Francese che il pagano avrà creduto mio fratello. Il Console, inteso il fatto, lo fece mettere in prigione dall’ufficiale di Polizia, ed a me consigliò di partire subito per Hong Kong. Poi seppi che la sera era in
domo Petri anche il fartello rimasto nella nave, a cui levò in dosso 20 dollari, avanzo del mio denaro. Due giorni dopo li rimise in libertà con 50 colpi di bambou sulla nuda carne, per ciascuno, secondo la giustizia cinese.
Così il giorno 24 luglio arrivavo in Hong Kong, possedimento inglese, per speciale grazia del Signore, dopo 17 giorni di viaggio. Questa è la vera storia (se così vuol chiamarsi) della mia fuga.
Lo strapazzo del viaggio e forse più il clima non tanto buono di quell’isola fece sì che mi attaccassero le febbri, e dovetti stare in letto per una ventina di giorni. Circostanze speciali m’obbligarono a riparare in Han-Kow; allo strapazzo del viaggio e la non perfettamente rimessa salute, furono causa di ulteriori febbri e d’una dissenteria, da cui ora sono guarito del tutto. Sicchè adesso sto bene, in compagnia dell’amatissimo P. Norberto che trovasi pure in Han-Kow, luogo sicuro e pieno di Europei, mandato dal suo Vescovo per le critiche circostanze, finchè non sarà ritornata la pace. E perchè crediate che dico la verità, abbiam pensato fotografarci insieme e mandarne una copia alle famiglie rispettive.
Quanto tempo starò in Han-Kow? Quando mi sarà dato di ritornare con gli altri Padri salvi nell’amato e distrutto Vicariato del Nan-scian? Non lo so! Certo che desidero quanto prima: epperò pregate che il Signore faccia ritrnare la pace in queste povere contrade a bene nostro dei poveri Cristiani indigeni che trovansi presentemente senza tetto e molti senza il Missionario che li conforti ed avvalori nella fede contro le lusinghe e tentazioni dei pagani.
Questa lettera la potete far leggere agli amici di Santeramo e , se volete spedirla in Roma anche alla Nipote. Ma mi dorrebbe se la vedessi pubblicata. E’ scritta alla buona ed in fretta per farla partire subito; e poi aborro sommamente dalla pubblicità.
Amerei al contrario che fosse conservata in famiglia.
In ultimo chiedendovi la materna benedizione e salutandovi con gli altri parenti ed amici sono
il vostro aff.mo figlio
P. Stefano Sette Miss Agostiniano

tratto e adattato dal “Corriere delle Puglie” del 02/12/1900, p. 2

Come si salvò dai boxers padre Stefano Sette da Santeramo

Ci telegrafano da Bari, 2, ore 17,15:
Il Corriere delle Puglie pubblica oggi una lunga lettera diretta dal padre Stefano Sette da Santeramo a sua madre, datata 8 ottobre da Hon-Kow, in cui questi narra la sua romantica fuga, di bui già si occupò la stampa europea.
Fuggito da Nan-Scian all’appressarsi dei boxers, si rifugiò sopra un monte. Poi, con l’aiuto di un cristiano indigeno, fu messo in una bara, e traversò così per sette giorni i villaggi cinesi già in ribellione.
Giunto a Lion-Cion, fu accolto in una barca, il cui capitano esigette una somma enorme per condurlo sino a Quanton.
Padre Stefano promise, ma, giunti in questa località, si recarono dal console francese, il quale, fatto arrestare il capitano, […] li tenne tre giorni prigionieri; li rimise in libertà […] Padre Stefano Sette trovasi attualmente a Hon-Kow.

tratto e adattato dal “La Stampa” di lunedì 03/12/4/1900, p.1

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Leggi l’ultima parte della storia…

Fonti consultate

Breve vita di sant’Erasmo e l’origine di Santeramo – in appendice Gli uomini illustri e benemeriti del nostro paese, Vito Perniola, Tip. G. Pansini e F., Bari, 1962
Alcuni figli benemeriti di casa nostra: Santeramo, Adolfo Porfido, Litotipografia Vitorchiano Poziello, 1992
Gli italiani che invasero la Cina: cronache di guerra 1900-1901, Fabio Fattore, Sugarco, 2008, p. 62
La Stampa di venerdì 27/07/1900, p.1
Corriere delle Puglie del 29/07/1900, p. 2
Corriere delle Puglie del 02/12/1900, p. 2
La Stampa di lunedì 03/12/4/1900, p.1

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