Il Generale Nazzareno Scattaglia

Negli anni ottanta del diciannovesimo secolo a Santeramo vi erano varie famiglie di muratori, coloro che hanno costruito letteralmente molti degli edifici che ancora oggi sorgono nella zona storica di Santeramo. Una di queste era la famiglia Scattaglia. Chissà se qualcuno immaginava che il giorno della vigilia di Natale del 1887 stava nascendo un… generale!


Vito Angelo Scattaglia era sposato con Domenica Maria Vignola, insieme avevano altri figli. Nel 1887 Domenica Maria rimase incinta del sestogenito che venne alla luce alle ore 19 circa del 24 dicembre. La prossimità della nascita al Natale ha fatto sì che i genitori scegliessero un nome particolare per il figlio, che chiamarono Nazzareno Scattaglia, un chiaro riferimento a Gesù il Nazareno.

Famiglia Scattaglia – Vignola

A 21 anni nel 1908 si arruolò nel Regio Esercito ed entrò come allievo nell’Accademia militare di Modena, da cui uscì con il grado di sottotenente, assegnato all’arma di fanteria, il 17 settembre 1910 al 19º reggimento di fanteria Brescia.

Nel 1913 partecipò alla guerra italo-turca a Tobruk, come tenente, venendo decorato con la Medaglia di bronzo al valor militare. Dal 1915 prese parte alla Prima Guerra Mondiale nei gradi di capitano e maggiore, comandando dal 1 luglio 1917 al 1 luglio 1918 il I battaglione del 19º reggimento di fanteria, Brigata Brescia. Partecipò alla “Battaglia delle Argonne“, combattuta in Francia tra il 26 settembre e l’11 novembre 1918.
Per la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ottenne 3 Medaglie d’Argento e una di Bronzo al Valor Militare, 3 Croci di guerra di cui una inglese e una francese.

Tra il 1920 e il 1922 frequentò la Scuola di Guerra e passò nello Stato Maggiore del’Esercito, come Sottocapo di S.M. presso il comando del Corpo d’Armata di Bari e in qualità di Capo di S.M. a Bolzano  della Divisione “Brennero”.

In seguito si trasferì nei pressi di Roma, a Rocca per la precisione. Mi risulta che era sposato, sua moglie si chiamava Giovanna Forgione, chiamata Ninetta, ed ebbe diversi figli, tra cui Ettore Scattaglia, Giulio Scattaglia ed Eva Scattaglia. C’è un curioso racconto che li riguarda nel difficile periodo successivo alla conclusione della Grande Guerra, narrato da Tancredi Lisena sul suo profilo Facebook e in attesa di essere incluso in una raccolta stampata. Si parla di Rocca come casa natìa di Nazzareno Scattaglia, che invece sappiamo bene esser nato a Santeramo.

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FACEZIE (4/50)
UN POLLO PER UN CAPPELLO
Nel lungo periodo della grande guerra, molte famiglie abbandonarono le grandi città per rifugiarsi nei piccoli centri, rarissime volte entrati nel vivo delle battaglie.
Così fece anche donna Ninetta Forgione, lasciando la sua dimora capitolina per vivere temporaneamente a Rocca, nella casa natia del marito Nazareno Scattaglia (quella attualmente abitata da Pasquale De Filippis e dall’arch. Alfonso Forgione), oggetto, in passato, di una interminabile lite giudiziaria tra i fratelli Scattaglia.
Anche in paese i viveri scarseggiavano ed era sempre difficile trovare qualcosa di commestibile che andasse oltre il pane e la farina per preparare pasta.
Donna Ninetta però non si perse d’animo, chiese o forse pretese da Lorenzo Incarnato, il vecchio e fidato “parzonale” di procurale un pollo, perché i suoi figli, Ettore, Giulio ed Eva, avevano la necessità di mangiare della carne.
Lorenzo, ricevuta la commissione, non potendo far torto alla signora, né, di contro, privarsi delle galline ancora in forza per la produzione, scelto un vecchio e rinsecchito pollo, il mattino successivo lo portò alla “padrona”, la quale per ricambiare la gentilezza fattale, prese un vecchio e consumato capello, di certo dismesso da più tempo dal marito, e lo regalò al servile “parzonale”.
Immediatamente la signora spennò il pennuto e lo mise a bollire, nella certezza di essersi procurata finalmente della carne da far mangiare ai figli.
Passò la prima, poi la seconda, poi la terza e poi un’altra ora ancora, ma il pollo non cuoceva mai, restando talmente duro e tenace da essere immangiabile.
Donna Ninetta, inviperita, iniziò ad imprecare contro il povero Lorenzo, reo di averla ingannata e di averle fatto consumare anche della legna inutilmente.
La domenica successiva, sapendo che il colono sarebbe venuto in paese indossando il vecchio cappello avuto in regalo, Donna Ninetta si situò innanzi al portone di casa in attesa dell’arrivo di Lorenzo.
Appena né intravide la figura, favorita anche dal suo modo dinoccolante di camminare, lo chiamò a sé con voce imperiosa ed austera. Il malcapitato subito le si avvicinò, mai immaginando ciò che stava per accadergli.
Neppure il tempo di chiedere, con voce tremula, la motivazione della vocatio, che Donna Ninetta, con veemente rabbia e con uno scatto felino, si riprese il liso cappello, strappandolo malamente dalla testa dell’incredulo Lorenzo, gridando: “la gallina che mi hai portato era troppo dura, non è cotta perciò mi ripiglio il cappello”.

di Tancredi Lisena

Durante il ventennio fascista, dopo un servizio come ufficiale di Stato Maggiore, fu promosso colonnello il 1 gennaio 1936 quando aveva 48 anni, assumendo prima il comando del 50º reggimento di fanteria Parma, poi il comando del reggimento chimico. Erano gli anni in cui stava iniziando la Seconda Guerra Mondiale, in cui l’Italia entrò il 10 Giugno 1940.

Dal 1 ottobre 1940 fu promosso generale di brigata, venendo poi assegnato in Sicilia il 1 novembre 1941 al comando della 213ª Divisione Costiera, appena istituita.

Dal 20 agosto 1942 sostituì il generale Torriano ed assunse in Egitto il comandò della 17ª divisione di fanteria “Pavia” in africa settentrionale, conducendola poi nella battaglia di El Alamein nell’ottobre seguente.

Venne sconfitto sul campo e catturato dagli inglesi nel novembre. A seguito di sconfitte così pesanti molti ufficiali fatti prigionieri accettarono di collaborare con l’Alleanza.

Secondo quanto riportato su Partecipare, il Generale Scattaglia decise di non collaborare non perchè fedele al regime in declino, ma perchè si sentiva portatore della “dignità nazionale”, sopportando il dolore e la responsabilità della situazione. Nel 1943 venne condotto in prigionia negli Stati Uniti con altri “non collaboratori”, tra cui circa una trentina di altri generali italiani,  prima a Crossville (Tennessee), poi a Monticello (Arcansas). Dopo la resa dell’Italia continuò a rifiutarsi di collaborare con gli americani e a sottostare alle condizioni umilianti imposte. Il 13 ottobre 1944 inviò una lettera alla Legazione della Svizzera.

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Nei suoi scritti Brigantini raccontò che di fronte alla scelta di cooperare o meno si creò differente il punto di vista del generale Nazareno Scattaglia, secondo cui un militare italiano doveva porsi al di sopra delle differenti opinioni politiche, motivando il ripetuto rifiuto alla cooperazione in questo modo: «io non sono né un fascista, né un antifascista, ma solo un generale italiano al servizio esclusivo del suo paese». In assenza di un ordine perentorio del Re, o di un membro governo di sua maestà, Scattaglia non se la sentiva di aderire alle proposte americane. Il generale protestò, assieme al suo collega Lorenzo Converso, denunciando le pressioni statunitensi sulla scelta tra cooperazione e non cooperazione, posta erroneamente come una scelta tra fascismo e antifascismo. È necessario riflettere su questa motivazione e sullo storico e consolidato legame tra monarchia ed esercito che caratterizza l’Italia pre-repubblicana, piuttosto che alle divisioni politiche in seno ai militari. Si tratta di un legame che nemmeno venti anni di dittatura fascista sembravano aver messo in discussione. Qualsiasi scelta di un soldato italiano andava fatta nel nome della fedeltà al sovrano. Se l’8 settembre rappresentò in Italia il crollo di questo vincolo; il trovarsi rinchiusi, e in qualche modo protetti, in dei campi di prigionia a migliaia di chilometri di distanza dalla propria madrepatria, al contrario, cristallizzò questo legame. Un campo per gli ufficiali non cooperatori: il caso di Hereford.

tratto e adattato da I prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti e il dilemma della cooperazione (1944-46), Mario De Prospo

Ancora restio a collaborare  a maggio fu trasferito a Hereford (Texas), insieme a Annibale Bergonzoli. Vi furono anche nel gruppo alcuni giornalisti (Gaetano Tumiati e Giosué Ravaioli), due scrittori (Giuseppe Berto e Dante Troisi), un pittore (Alberto Burri) e un musicista (Mario Medici). Fu uno degli italiani che maggiormente si opposero alla cobelligeranza, dopo l’armistizio con le potenze alleate. Rappresentò e comandò circa 2000 prigionieri italiani non collaboratori nei confronti dei detentori dell’Alleanza. Il 17 agosto 1945 partecipò alla scrittura di un documento firmato dal maggiore medico prof. Luigi Cabitto, sanitario del Compound 4 del Campo di Hereford, in cui vengono denunciate le condizioni a cui vengono sottoposti i prigionieri, con una alimentazione affatto adeguata che li ha portati a perdere tra i 5 e i 15 chilogrammi di peso.

Rientrò in Italia con altri prigionieri solo nel giugno 1946.

Aderì al neo costituito Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, candidandosi alle elezioni del 18 aprile 1948 al Collegio di Altamura.

Morì a Roma il 16 gennaio 1975 quando aveva 87 anni, le sue spoglie sono sepolte presso il Cimitero del Verano.

Fonti consultate

Nazzareno Scattaglia, Wikipedia, consultato il 14/07/2019
Alcuni Figli Benemeriti di Casa Nostra, Adolfo Porfido, p. 229
Cara madre ti faccio sapere…, Giulia Poli Disanto, 2005, p. 128
Partecipare n. 14, marzo 1975, p. 11
Volontà n. 4, 1975
Partecipare n. 26, gennaio 1976, p.19
Quelli che dissero no, Arrigo Petacco, Edizioni Mondadori, 27/09/2011
Italian POWs and a Texas Church: The Murals of St. Mary’s, Donald Mace Williams, Texas Tech University Press, 2001
I prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti e il dilemma della cooperazione (1944-46), Mario De Prospo
Prigionieri di guerra in USA: storia dei non cooperatori
Un pollo per un cappello, Tancredi Lisena, Facezie, Profilo Facebook, 13/11/2015, consultato il 05/08/2019
La Gazzetta del Mezzogiorno, 05/03/1948, p. 2
La Gazzetta del Mezzogiorno, 07/02/1929, p. 3

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